Il nome di Yoshihiro Nishimura, regista e make up artist che vanta collaborazioni con Sion Sono, Noboru Iguchi e Yudai Yamaguchi, è irrimediabilmente legato a Tokyo Gore Police. Presentato per la prima volta in Italia al Future Film Festival 2009, la pellicola è uno dei migliori B-movie giapponesi degli anni Duemila: alla solita ribollita di sangue e budella va ad aggiungersi un cocktail di trovate deliranti che hanno contribuito a creargli attorno la meritatissima aura del prodotto di culto. Con un precedente simile, da The Ninja War of Torakage – proiettato durante la quarta giornata del Future Film Festival 2016 nella sezione Follie notturne – non ci si poteva aspettare che un violentissimo chambara, zeppo di acrobazie improbabili, squartamenti a filo di katana e una spruzzata di umorismo demenziale. Rattrista dover affermare che nell’ultima pellicola di Nishimura sopravvive soltanto la parte peggiore del suo capolavoro.

In un momento storico non ben precisato del medioevo Giapponese, il ninja Torakage viene richiamato dalla sua padrona per rubare un rotolo di pergamena contenente l’ubicazione di un leggendario tesoro; in ballo c’è la vita del figlio. Quando sua moglie cade preda dei nemici, Torakage si trova ad escogitare un piano per riavere indietro ambedue i familiari sani e salvi.

Se è facile leggere in una simile struttura il riflesso de La sfida del samurai di Akira Kurosawa, Nishimura fa di tutto per convincerci a bollare il film come una baracconata in piena regola. Sin dai primi minuti appare chiaro come l’intero tono della pellicola sia impostato sul farsesco (il narratore della vicenda è un giapponese con baffi posticci che si spaccia per studioso portoghese esperto di ninja), ma una serie di battute poco riuscite finiscono subito per svelare una linea comica molto debole, incapace di stupire sia in bene che in male, mentre delle trovate assurde che accompagnavano gli sketch demenziali di Tokyo Gore Police non c’è traccia.

Ad eccezion fatta di una bizzarra creatura dotata di ali fatte di mani umane – che pare prelevata a forza da Il labirinto del fauno di Guillermo del Toro più che dal body horror cronenberghiano – la “follia” del film si ferma ad una tristissima armatura di bambù, capace di far spiccare al protagonista salti prodigiosi. Anche la componente artigianale degli effetti speciali, altro punto forte del regista, è ridotta all’osso, a vantaggio di inserti 3D eseguiti miserevolmente. Nishimura non è certo il primo a utilizzare un espediente simile per cercare la risata dello spettatore, ma qui è impietosa la distanza con lavori come Gothic Lolita Battle Bear dell’amico Iguchi, dove la componente ironica è dosata e sfruttata per mettere in ridicolo il soggetto della rappresentazione stessa, aprendo uno spazio di ironia metatestuale.

Non migliora il milieu dell’opera l’inserimento di siparietti cantati (il primo dei quali pure palesemente fuori sincrono), né la schizofrenia della colonna sonora, che mescola ad un main theme di vago sapore leoniano brani acustici, death metal e un gratuitissimo funk che paragona le bombe dei ninja alle sferette del patchinko. Inutile sottolineare come i personaggi siano inesistenti, il sistema simbolico dei dialoghi occupato da discorsi sull’«importanza della cacca» e l’unica caratterizzazione del protagonista sia una ferrea fede nel concetto di famiglia.

Quando, a visione terminata, veniamo a sapere che è già in programma un sequel, possiamo solo augurarci di cuore che a nessuno venga in mente di confondere nuovamente una scadente pellicola da pomeriggio in famiglia con una follia di mezzanotte.

Gregorio Zanacchi Nuti