Continuiamo con questa recensione ad occuparci di alcuni film del festival bolognese Gender Bender, presenti nella sua sezione cinematografica. 

Senza dubbio Chica busca chica rientra a pieno titolo nel filone battezzato dal claim del Festival a bocca aperta: si tratta infatti di un film dove tutte/tutti si baciano tantissimo e di continuo. Nato da una costola di una web serie spagnola di successo, Chica busca chica appunto, divenuto lungometraggio grazie ad una fortunata campagna di crowd founding su Indiegogo, è un film corale, che si sviluppa tutto in due scene principali, e con pochissimi excursus fuori dalla villa in cui è ambientato. Si tratta di un film che denuncia in ciascuno dei suoi fotogrammi la provenienza dal mondo seriale, piuttosto che da quello cinematografico, un family drama dal sapore almodovariano insomma,…nel quale però, a nostro modestissimo parere, si sente molto la mancanza del grande maestro. Sia per i contenuti non particolarmente scabrosi o coraggiosi come ci si aspetterebbe da una pellicola LGBT militante (la trama non è troppo avvincente, ma piuttosto un pretesto intorno a cui sono cucite le situazioni), sia per la grammatica, molto legata al mondo dei new media ed ascrivibile ad uno  youtuber principiante.

Sonia Sebastián, autrice regista e produttrice del film, crediamo che abbia portato un contributo molto più incisivo nel mondo delle webserie, da vera pioniera delle tematiche LGBT nella TV spagnola, piuttosto che nel cinema. La pellicola soffre, a nostro sentire, il confronto naturale e spontaneo con un grande competitor, il cinema di Almodóvar appunto, che invece di fare da mentore e riferimento per lo spettatore, finisce per schiacciare del tutto la visione nell’eterna attesa di un deus ex machina che sia all’altezza del paragone, o di un tocco d’arte che però non arriva.

Dopo quasi 10 anni vissuti a Miami, Inés (Celia Freijeiro) decide di tornare a casa, a Madrid: piomba nel bel mezzo di un party, nella fattispecie una “Festa del ciclo” indetta da una madre per l’arrivo del mestruo alla sua “bambina”, e dovrà affrontare i conti col passato. Rimediare ai mille cuori infranti lasciati in lacrime dal suo passaggio tempestoso. Il ritorno della protagonista innesca una godibile commedia degli equivoci che coinvolge spassosamente tutta la compagnia dei teatranti personaggi: lesbiche e pseudo-etero, trans e bambini, ritrovati o nascenti, omosessuali dell’ultima ora, dichiarati o in outing, personaggi che sanno tutto del sesso  e niente di sentimenti, almeno apparentemente.

Sonia Sebastián vorrebbe comporre un irresistibile inno alle diversità e al diritto di vivere liberamente fuori dagli schemi della società, mescolando il tutto a temi universali come la maternità e la paternità, i legami familiari e il passaggio all’età adulta. Forse tutto con una leggerezza sin troppo eterea, che sembra non lasciare troppo spazio alla riflessione, che temi del genere avrebbero ancora bisogno di suscitare e di risvegliare nello spettatore. E se l’intento era buono (monito del film è che il modo migliore di vivere sia di accettarsi per quello che si è), troppo elementare è forse la messa in scena. E non c’è parabola che funzioni senza l’uso di figure grammaticali e simboliche più complesse.

Francesca Divella