Mentre i cinefili adulti si affannavano, correndo da una sala all’altra, nell’ambito del “Cinema Ritrovato Kids: ABCinema”, promosso dal Progetto Schermi e Lavagne e dall’Associazione Paper Moon, una platea di piccoli cinefili ha potuto fare la conoscenza del più importante film d’animazione di Giulio Gianini e Emanuele Luzzati: Il flauto magico. La coppia Gianini-Luzzati vanta trentasette anni di collaborazione (dal 1957 al 1994), in cui sono state realizzate una trentina di opere tra film d’autore autoprodotti , film televisivi, pubblicitari, corti e cortissimi metraggi.

Durante questi anni di sodalizio artistico, ognuno portò parallelamente avanti il proprio lavoro; Gianini come apprezzato direttore della fotografia, Luzzati come stimato artista poliedrico. Inoltre uno rappresentava il legame col mondo del cinema, l’altro col mondo teatrale. Queste due personalità complementari, incontrandosi, poterono mettere a frutto capacità e competenze riuscendo a dominare con potenza espressiva e ironia il difficile linguaggio del cartone animato. In questo caso la sfida era duplice in quanto si trattava di adattare e condensare in meno di un’ora l’omonima opera lirica di Mozart giungendo a una perfetta integrazione fra musica e immagini.

Anche dal punto di vista tecnico Il flauto magico rappresenta un punto di arrivo di tutta una ricerca sul potenziale linguistico dell’animazione. La tecnica principale, lungamente sperimentata in precedenza da Gianini, è il découpage, ma sono fondamentali anche i cambiamenti di colore, luci e texture. Questa metamorfosi visiva aiuta lo spettatore a percepire i paesaggi notturni, ad esempio, in maniera più drammatica.

Per le sequenza in cui la Regina della Notte intona i celeberrimi acuti- affidata a un altro grande dell’animazione, Manfredo Manfredi- si utilizzò la tecnica del disegno in fase, in cui l’immagine viene colta nel suo farsi o disfarsi. Si è ricorso perfino alle ombre cinesi, con illuminazione dal basso in controluce. A fare da narratore, da chiarificatore degli intrighi, c’è un attore – Marcello Bartoli – in costume da Papageno, che a ben guardarlo somiglia vagamente al padrone di casa della Melevisione della mia infanzia. Sicuramente non il plot, già complesso e carico di simbologie nell’opera di Mozart, ma le suggestioni visive e sonore sono state largamente colte dai piccoli spettatori, talvolta spaventati, talvolta incantati.

Beatrice Caruso