Franco Citti si è spento nella sua abitazione romana la sera del 14 gennaio 2016 all’età di 80 anni. La sua fittissima carriera d’attore è indissolubilmente legata a Pier Paolo Pasolini. Cinefilia Ritrovata omaggia la scomparsa dell’attore attraverso il racconto dell’incontro con lo stesso Pasolini, un dialogo tra i due e alcune riflessioni dell’intellettuale di Casarsa su Citti. 

La prima volta che l’ho visto stava fermo con la bicicletta davanti al bar, al semaforo rosso di Torpignattara. […]

“Piacere Pasolini”, disse quello, con uno strano accento che mi sembrava settentrionale per quel po’ che ne sapevo.

“Io so’ Franco”, risposi mentre mio fratello parlava.

“Pier Paolo è uno scrittore, un poeta, uno che insegna, un uomo di cultura”, spiegava Sergio, come se a me tutto quello che diceva potesse interessare.

[…] Intanto pensavo che quello lì, con quella faccia un po’ da indiano, come li avevo visti nei film di cow – boy, con quella cantilena nella voce, che pensai fosse veneto e poi mi disse che era friulano, tutto sommato a me mi pareva uno diverso, pure un po’ “strano”. […] Quella sera però, mano a mano rimasi colpito, accorgendomi che stava succedendo qualcosa. Quella persona più parlava e più riusciva ad affascinarmi. Cantilena a parte, gli uscivano di bocca parole mai sentite, parole che non sapevo nemmeno che esistessero e soprattutto non ne conoscevo nemmeno lontanamente il significato. […] Pier Paolo, ma io l’ho sempre chiamato solo Paolo, anzi Pa’, era uno scrittore davvero, un poeta. Aveva già scritto diverse cose in Friuli, prima di trasferirsi a Roma. Era arrivato da poco e voleva conoscere la gente di qui, entrarci tra la gente, soprattutto nel mondo delle borgate. Era curioso. Voleva sapere tutto. Studiava le parole che dicevamo e si arrabbiava pure quando non riuscivamo a spiegargliele: “Che bella fardona”, dicevamo, per esempio, e spiegavamo che voleva dire “che bella ragazza” ma lui s’incazzava perché voleva sapere “fardona” come nasceva, da dove veniva come parola. E noi gli dicevamo: “Aòh! A Pa’, ma che vuoi sapere, ‘sta parola è così, l’abbiamo sempre sentita così, non c’è niente da spiegare”. L’incontro con noi, me, mio fratello, i nostri amici, per lui interessato al nostro modo di vivere, è stato un incontro fortunato. Per lui e per noi. Nella vita ci saranno pure altri incontri, ma quello fu davvero un incontro fortunato. Non sapevo che quell’uomo timido ed educato mi avrebbe e ci avrebbe – a me e mio fratello – cambiato l’esistenza.

[“Vita di un ragazzo di vita” – Franco Citti, Claudio Valentini, Sugarco Edizioni, 1992]

 

 

Artisti, esperienza e fantasia

 

Pier Paolo Pasolini: Cos’è il cinema?

Franco Citti: Il cinema è il cinema.

PPP: E cos’è la realtà?

FC: Quella che esiste solo nei puri.

PPP: E tutto il resto cos’è?

FC: È ingiustizia.

PPP: Il cinema rappresenta sempre la realtà?

FC: Io penso che rappresenti, in generale, l’ingiustizia. Perché i registi puri sono pochi.

PPP: Tu in quale realtà vivi? Nella realtà che è nel cuore dei puri o nella realtà che è ingiustizia (e che Elsa Morante e io chiamiamo “irrealtà”)?

FC: Io vivo nella realtà che è nei cuori dei puri, ma sono costretto anche a vivere nell’ingiustizia.

PPP: E che differenza c’è tra te nella realtà e te nel cinema?

FC: Ma… io immagino che il cinema sia un guadagno, e la realtà mia sempre purezza…

PPP: Ma che uomo puro sei, se fai il cinema per guadagnare?

FC: E gli altri perché lo fanno?

PPP: Ma gli altri non pretendono di essere puri.

FC: E infatti io non ho mai guadagnato…

PPP: Così però ti contraddici…

FC: Ma io, mi voglio contraddire.

PPP: Formuliamo allora la questione in modo più concreto: sei più vero in quanto Franco Citti o in quanto Accattone o Edipo?

FC: In quanto Franco Citti.

PPP: Forse perché Franco Citti è più contraddittorio di Accattone?

FC: Mi contraddico perché ho fatto del cinema.

PPP: Quando hai fatto Accattone, dunque, eri tutto nella “realtà che è nel cuore dei puri”, facendo del cinema sei entrato anche nella realtà che è “ingiustizia”: è così?

FC: Io dico che facendo Accattone non ho fatto solo un film, ma ne ho fatti due: io l’ho fatto con il cuore e Pasolini con la fantasia. Col cuore, io, cioè all’insaputa di quello che io ho fatto: per inesperienza di cinema. Mentre la fantasia è l’esperienza che hanno gli artisti.

PPP: Allora io ti ho usato per la tua realtà (inconsapevole di se stessa, e, come hai detto, appartenente al mondo dei puri): ma le azioni di Accattone (sfruttare donne, rubare ecc.) sono azioni pure, nel senso che tu dici?

FC: Purezza è una cosa aperta… libera… Vi possono far parte anche lo sfruttare donne o il rubare…

PPP: Perché pensi che i fascisti e i borghesi si siano tanto accaniti contro un personaggio “reale” (puro) come Accattone?

FC: Ti posso dire solo una cosa: io non so cosa significa la parola “fascista”, anche dopo avere tanto sofferto per colpa dei fascisti.

PPP: Tu prevedi che dovremmo soffrire anche per colpa di Porcile?

FC: Sì, perché i fascisti vivono in quella realtà che è ingiustizia.

[I Dialoghi – Pasolini, n. 48, 23 novembre 1968]

 

Un giorno Sergio, mentre camminavamo, lì, al semaforo della Maranella, per la Casilina, mi presentò suo fratello Franco che era un ragazzetto di diciassette anni. Ancora cucciolo, timidissimo, con gli occhi d’angoscia della timidezza e della cattiveria che deriva dalla timidezza, sempre pronto a dibattersi, difendersi, aggredire, per proteggere la sua intima indecisione: il senso quasi di non esistere che egli cova dentro di sé. Per contraddire questa sua ingiusta incertezza d’esistenza, egli non ha altri strumenti che la propria violenza e la propria prestanza fisica: e ne fa abuso.

[…] Franco ha un profondo senso della giustizia. Sente profondamente la propria colpa quando commette qualcosa di ingiusto e non sa ammettere che altri compiano qualcosa di ingiusto. Si capisce che l’idea della giustizia che egli ha in testa è molto primitiva e deforme: ma c’è, egli ne è condizionato. Questa consacrazione, avvenuta nella sua infanzia, di un fondamentale senso di giustizia, e quindi di colpa, fa sì che tutta la sua vita sia pervasa da qualcosa di mitico, di rigido, di immodificabile (come in tutte le consacrazioni).

[…] Quando mi sono deciso a scrivere Accattone e ho dovuto scegliere il protagonista, ho pensato che lui poteva andare benissimo e ho ricostruito il personaggio di Accattone su di lui.

In realtà, ora, lui e Accattone sono la stessa persona. Accattone, naturalmente è portato ad un altro livello, al livello estetico di un “grave estetismo di morte”, come dice il mio amico Pietro Citati, ma in realtà Franco Citti e Accattone si assomigliano come due gocce d’acqua.

[Pier Paolo Pasolini, Mamma Roma, 3 maggio 1962]

A cura di Stefano Careddu