“I film più vivi della storia del cinema, film che respirano ancora quando li si proietta quarant’anni dopo essere stati fatti”. Così François Truffaut definiva il cinema di Jean Renoir, e gli spettatori che ieri pomeriggio hanno assistito alla doppietta di capolavori formata da Une partie de campagne e La Chienne non potranno che sottoscrivere le sue parole, anche a distanza di altri quarant’anni. I due film, presentati nelle versioni restaurate da Les Films du Jeudi e Cinémathèque française, sono stati introdotti dal direttore della Cinémathèque Costa-Gavras e dal critico Jean Douchet. La chiave di lettura suggerita da quest’ultimo per guardare alle due opere del grande maestro francese è il rapporto teatro/cinema: quello di Renoir è un cinema che parte dal teatro (non a caso la cornice narrativa di La Chienne è rappresentata proprio da un teatrino di marionette) ma poi se ne allontana, si muove nella direzione opposta, per seguire e rappresentare la vita.
Non a caso, scriveva questa volta André Bazin a proposito di Partie de campagne: “La scena d’amore nell’isola è uno dei momenti più atroci e più belli del cinema mondiale. Deve la sua folgorante efficacia ad alcuni gesti e a uno sguardo di Sylvia Bataille di un realismo commovente e straziante”. Vetta di lirismo e impressionismo (guardando al padre Pierre-Auguste), il film è il capolavoro incompiuto di Renoir: girato nel 1936, vide la luce solo dieci anni più tardi per mano di Marguerite Houllé-Renoir, montatrice ed ex compagna del regista, a quell’epoca trasferitosi negli Stati Uniti.
Con La Chienne torniamo invece all’inizio degli anni Trenta: è il secondo film sonoro di Renoir, un film splendido e crudele, fondato sull’inganno, la sostituzione, la doppiezza, in cui troviamo già lo stile inconfondibile che caratterizzerà il suo cinema e la capacità di raccontare la complessità delle relazioni umane.