La fin du jour (titolo italiano: I prigionieri del sogno) è il secondo film di Julien Duvivier in programmazione al Cinema Ritrovato, nella sezione “Ritrovati e Restaurati”. Con La fin du jour, titolo quanto mai emblematico, ci troviamo di fronte a un film ambientato nella Francia del 1939: un momento cruciale che ha segnato la fine di un’era e che trova la sua rappresentazione nel gruppo di anziani attori protagonisti della storia. Nell’abbazia di Saint-Jean-la Rivière, una casa di riposo per ex commedianti, troviamo tra gli altri Saint-Clair, borioso Don Giovanni avido di adulazioni, Cabrissade, attore mancato costretto a inventare ricordi per rendere interessante la sua vita, e Marny, uomo solitario e taciturno, terribilmente afflitto dalla perdita della sua amata. Attraverso le vicende dei tre protagonisti e – in generale – grazie all’ampia rosa dei personaggi di contorno, Duvivier tratteggia un microcosmo, quello degli attori, in cui la vecchiaia è doppiamente dolorosa: non c’è solo l’inesorabile avvicinarsi della fine, ma un persistente bisogno di fingere che non sia così. La figura dell’attore, vanitoso ed egocentrico per antonomasia, viene rappresentata in tutta la sua fragilità e piccolezza. Uomini incapaci di lasciarsi il passato alle spalle, pieni di rancore, ingabbiati in una realtà distorta costruita da loro stessi.
Quando Saint-Clair guarda il suo riflesso nello specchio vede ciò che vuole vedere: un affascinante seduttore ancora in grado di indurre le donne a suicidarsi per il suo amore. Tanto vanaglorioso quanto insensibile di fronte ai sentimenti altrui, è forse uno dei personaggi più detestabili mai apparsi sul grande schermo, grazie anche all’eccellente interpretazione di Louis Jouvet. Cabrissade, interpretato da Michel Simon, rappresenta invece l’eterno sconfitto senza possibilità di riscatto, costretto a indossare perennemente una maschera grottesca. Se Saint-Clair appare immune a qualsiasi emozione, Cabrissade cela invece un disperato bisogno di affetto, suscitando a tratti una tenerezza velata di commiserazione. È lui a pronunciare una delle tante battute memorabili del film, “Se non mi inventassi dei ricordi, non ne avrei!”: in questa battuta si racchiude lo spirito di La fin du jour, una riflessione amarissima sulla finitezza umana e sulla vecchiaia.
Interessante notare anche come Duvivier abbia rappresentato le figure femminili principali in chiave passiva: totalmente succubi dell’egoismo maschile – incarnato da Saint-Clair – continuano a subire il fascino di un uomo dall’ego smisurato, incapaci di reagire di fronte a tanta meschinità.
La fine del giorno, la fine di un’epoca, la fine della vita: Duvivier si dimostra abile nello stemperare i toni melodrammatici del film con un umorismo pungente, costruendo una vena pessimista palpabile, senza mai cadere nel pietismo. La fin du jour, come altri grandi film francesi degli anni Trenta, ha una sua capacità di rappresentare la condizione umana universale, in questo caso la vecchiaia, in maniera tanto cinica quanto schietta.
Barbara Monti