Rivisto con occhi di oggi, al Cinema Ritrovato, La Pointe Courte (1955) di Agnès Varda appare davvero inclassificabile. Impasto terreo di realismo, romanzo americano (è la Varda ad aver esplicitamente indicato Faulkner tra i modelli presi a prestito), sguardo antropologico e nouvelle vague da rive droite, il film affascina e abbacina grazie alla sua erratica bellezza. I protagonisti – tra cui un giovane, attonito, buffo Philippe Noiret – vivono una crisi che è quella delle coppie borghesi di tanto cinema di quegli anni, e fanno da ponte tra Viaggio in Italia e Hiroshima mon amour.
La Varda li segue con occhio attento a tutti i particolari, il villaggio dei pescatori funziona come un coro greco senza destino, e il territorio subentra in ogni inquadratura a reclamare la sua importanza. La Pointe Courte rimane un esempio di cinema narrativo e sperimentale al tempo stesso, che ci indica la metà degli anni Cinquanta come un incunabolo di suggestioni e potenzialità che rischia di venire travolto, storiograficamente, da quel che succede dopo, alla fine del decennio e nella prima parte degli anni Sessanta. E invece era Cinema Libero, come la sezione che lo ospita, e come tale lo salutiamo e riviviamo.
Ciné-fils