È cominciata ieri la terza edizione di Live Arts Week, evento (unico in Italia) dedicato alle live arts, con un insieme eterogeneo di performance che ruotano intorno alla presenza e all’esperienza percettiva di corpi, movimenti, suoni e visioni, con un programma-palinsesto di opere dal vivo, compreso – quel che più ci interessa su questa testata – live media, film e expanded cinema, con date uniche, produzioni e anteprime presentate da personalità di spicco della ricerca contemporanea internazionale. Se nei prossimi giorni la parte più specificamente cinematografica proseguirà al Lumière, ieri sera si è avuto un esempio di che cosa può significare un “live” cinematografico e performativo grazie all’appuntamento (che definire epocale non è retorica) con Ken Jacobs e il suo Nervous Magic Lantern. La presentazione era chiara fin dal catalogo: Nervous Magic Lantern è lo storico happening di expanded cinema presentato ora, per la prima volta in Italia, dal pioniere del cinema sperimentale Ken Jacobs con l’intervento sonoro dal vivo di uno dei protagonisti dalla musica d’avanguardia newyorkese, Aki Onda. Nervous Magic Lantern è il dispiegamento davanti ai nostri occhi di un film inusitato, privo di attori, senza una trama e paradossalmente senza un supporto materiale (né pellicola né video), vero e proprio cinema senza macchina da presa. Utilizzando tecniche pre-cinematografiche, Ken Jacobs crea un’esperienza visiva tridimensionale e allucinatoria, nella quale prendono vita fenomeni impossibili e luoghi inesistenti, nell’impalpabile dimensione creata dai raggi di proiezione. Nervous Magic Lantern è un’iniezione nello spazio percettivo reale di un balletto di forme astratte.

Possiamo serenamente affermare che tutte le premesse sono state rispettate. Di fronte a una platea che curiosamente mescolava (non è frequente) i cinefili radicali e i critici musicali più curiosi e navigati, sia pure di fronte a uno spazio murario forse imperfetto, le forme gelatinose, ameboidali, quasi biochimiche, proposte da Jacobs e accompagnate da Onda, si sono rivelate ancora oggi fascinose e magmatiche. Il tema della fisicità dell’immagine – ovvio contraltare alla digitalizzazione delle forme contemporanee – non assume mai la dimensione della militanza tramontante, caso mai di una irriducibile spinta alla sensazione che (lontana decenni dal cinema espanso) riesce tuttora a interrogare le nostre abitudini percettive. Tra filamenti, scie, luci e ombre, quel che vediamo sullo schermo – o meglio sul muro bianco – ci invita incessantemente a recuperare fisionomie e tracce di spazio organizzato, mentre l’otturazione alternata di luminoso e oscuro prosegue nel ricordarci che stiamo assistendo alla natura primaria del cinema, prima ancora che le immagini riprodotte divengano tali. Il pre-cinema e l’avanguardia si rilanciano nel concetto di performance mentre, sempre più ostinato, il nostro cervello crede di intravedere forme antropomorfe nel caleidoscopio a-geometrico di Jacobs, fino ad abbandonare la vana ricerca e abbandonarsi al flusso di suoni e contemplazione. Forse la proiezione in presenza di un operatore diventa – senso ultimo della proposta jacobsiana aggiornata al 2014 – l’ultimo esempio di live performance nell’epoca delle sale digitalizzate.

Ken Jacobs è del resto uno dei fondatori del cinema d’avanguardia statunitense. Live Arts ci ricorda la sua carriera: “Ha lavorato incessantemente per oltre cinquant’anni attraversando le frontiere tra cinema, video e live media. Comincia la sua carriera agli inizi degli anni ’50 con il guerrilla cinema girato per le strade della sua città di nascita, New York, con spirito anarchico ed esuberante – e politicamente astuto -. Fanno parte di questo periodo, un nutrito gruppo di lavori anticipatori, tra cui Little Stabs at Happiness, cortometraggio incluso in The Whirled, opera dell’allora giovanissimo Jack Smith. Da questa prima fascinazione per il cinema sperimentale Jacobs si accosta progressivamente al found footage, un salto segnato dalla decostruzione narrativa e l’illusionismo di Tom, Tom the Piper’s Son, del 1969, film rimasto celebre per i metodi di manipolazione e gonfiaggio effettuati su found footage, capaci di trasformare la pellicola trovata in un lavoro di cinema puro, rivelatorio e mozzafiato. Il cinema delle origini e la fotografia del XIX secolo sono centrali nel lavoro di Jacobs, fornendogli gli strumenti per sviluppare una critica ai limiti estetici, ideologici e tecnologici che definiscono il cinema ed il suo apparato. Negli anni ’70 Jacobs porta questa critica su un livello ulteriore, introducendo il concetto di ‘paracinema’, termine che indica un metodo radicale di produrre immagine in movimento, come nel caso delle Nervous System Performances, trasformazioni dell’esperienza cinematografica con l’utilizzo simultaneo di due proiettori 16mm e con diverse forme di produzione del suono, che esplorano le dimensioni audio-visuali nascoste tra le pieghe della pellicola. La sua curiosità per le tecnologie lo ha portato, parallelamente, a verificare le potenzialità del video, creando un incontro tra digitale, cinema delle origini, fotografia e immaginario 3D, che attraversa magicamente un arco tra il XIX ed il XXI secolo ed ha reso possibili lavori potenti e sublimi come Krypton is Doomed and Razzle Dazzle: The Lost World. Tra le invenzioni più importanti di Jacobs, resta comunque la Nervous Magic Lantern, misteriosa performance di luci ed ombre che riporta il cinema alle sue radici più essenziali”.

Per una più autorevole descrizione di che cosa è Nervous Magic Lantern ecco un bel post di David Bordwell.