Comincia il Bob Dylan Day a Bologna, con una serie di proiezioni cinefile e musicofile, fonte di indiscutibili piaceri. Per festeggiare, abbiamo chiesto ai collaboratori di Cinefilia Ritrovata di affrontare alcuni film della rassegna. Cominciamo da Masked and Anonymous.
In un’imprecisata nazione (gli Stati Uniti di un futuro distopico?) in piena guerra civile, tra violenza nelle strade e senzatetto, Jack Fate (Bob Dylan), cantante dal passato glorioso nonché figlio del dittatore morente, viene fatto uscire di prigione per partecipare ad un concerto benefico. In una giostra di avidi impresari (John Goodman e Jessica Lange), funzionari televisivi armati e minacciosi, politici inquietanti (Mickey Rourke) e cinici giornalisti a caccia di scoop (Jeff Bridges), immobile al centro rimane Fate, indifferente e serafico, a cantare le sue canzoni.
Scritto da Dylan insieme a Larry Charles, che ne cura anche la regia, il film gira a vuoto senza arrivare da nessuna parte, in un tentativo abbastanza confuso e velleitario di allegorica critica della politica e del mondo dello spettacolo statunitense.
Il problema di Masked and Anonymous non è quello di essere al servizio di Dylan, dei suoi giudizi lapidari, del suo disprezzo per gli impresari musicali senza scrupoli, per la televisione e per un certo giornalismo (emblematico è il giornalista che provoca Fate − alter ego di Dylan − incalzandolo con richieste di giudizi e spiegazioni, fino a: “Perché non sei andato a Woodstock?”), ma nel modo di rappresentare tutto questo: Larry Charles, bravissimo nella commedia (Seinfeld, Borat), non riesce, neppure con la complicità dello stesso Dylan, a trasformare in un film il mondo ermetico, contraddittorio e suggestivo del menestrello di Duluth. Manca in definitiva quel registro surreale, onirico e poetico che era invece presente nel ben più riuscito film sulla vita di Dylan Io non sono qui di Todd Haynes (2007).
Appare poi non sfruttato al meglio il cast ricchissimo (seppur pagato al minimo sindacale: per lavorare con Dylan questo ed altro), del quale fanno parte − in piccoli ruoli o camei − anche Penelope Cruz, Luke Wilson, Angela Bassett, Bruce Dern, Ed Harris, Val Kilmer e Christian Slater.
Godibilissima, variegata e sorprendente è invece la colonna sonora firmata da Dylan. Ottime le esibizioni live di Fate/Dylan, che reinterpreta Cold Irons Bound e Down in the Flood ed esegue per la prima volta due canzoni tradizionali; bellissime restano Not Dark Yet e Blowin’ in the Wind, ma ad affascinare maggiormente sono le splendide cover di canzoni di Dylan reinterpretate dai Grateful Dead, Los Lobos e Jerry Garcia, con vere e proprie perle come la versione in giapponese di My Back Pages e quelle in italiano realizzate da Francesco De Gregori (Non Dirle Che Non E’ Cosi’ /If You See Her, Say Hello) e dagli Articolo 31 (Come Una Pietra Scalciata /Like A Rolling Stone).
Il film è anche una perfetta rappresentazione di come Dylan non solo non cerchi l’approvazione del pubblico ma quasi lo voglia allontanare e deludere, storpiando dal vivo i suoi più grandi successi fino a renderli irriconoscibili o facendo film cervellotici come questo. E’ come se volesse distruggere in ogni modo il mito di sé, calpestare il santino del poeta impegnato con cui l’hanno forzatamente raffigurato dall’inizio della sua carriera. L’accoglienza del Premio Nobel, fredda al limite dell’indisponente, è solo l’ultima manifestazione di questo atteggiamento. Ma non si può non ammirare la straordinaria libertà di Dylan: libero di non piacere in un mondo ossessionato dai “like”; libero di fare qualunque cosa gli venga in mente (anche un disco di canzoni di Natale); libero di fallire in una società in cui l’unico valore è il successo; libero di rinnegare se stesso e chi lo ama.
E se l’arte è soprattutto libertà, allora Dylan rimane uno dei più grandi artisti contemporanei.
Andrea Zacchi – Associazione Culturale Leitmovie