Leggendo velocemente la sinossi di Mariti di John Cassavetes è inevitabile associarlo a numerosissime altre commedie dalla simile trama, da Amici miei di Monicelli al più recente Una notte da leoni. Eppure non esiste nulla di più lontano da quei film di Mariti; anzi, in verità, la stessa categorizzazione di “commedia” è incredibilmente riduttiva e fuorviante per un’opera come questa.

La trama è indubbiamente semplicissima – tre amici di mezz’età decidono di darsi alla pazza gioia dopo l’inaspettata morte di uno di loro – eppure il film è di una complessità immane. Il discrimine più evidente tra Mariti e le tante simili pellicole non può che essere nella regia di Cassavates, anche interprete nel film, e nella sua concezione del tipo di storia che voleva raccontare.

Il film è vuoto, la musica assente, le scenografie scarne: al centro vi sono solo i protagonisti, o meglio gli interpreti John Cassavetes, Ben Gazzara e Peter Falk, le cui personalità e i tratti caratteriali strabordano nei loro personaggi. Tutto intorno a loro v’è il buio, l’abisso, la morte, che aspetta solo di inghiottirli, di spegnere la luce che permette loro la vita.

Ed è su questa luce, su questi uomini che la cinepresa di Cassavetes indugia in lunghe scene, rinchiudendoli in inquadrature soffocanti, da cui la frenesia, il desiderio di vivere dei protagonisti non può che cercare di liberarsi, dimenandosi per sfuggire all’inevitabilità della realtà, della morte.

Mariti è un film brutale, a tratti insopportabile per i personaggi, per gli attori e per noi spettatori. Ogni regola della cinematografia e ogni convenzione è scartata per la realizzazione invece di un’opera vera, genuina, verace. Quello di Cassavetes è puro cinema vérité, quasi documentario. Le reazioni sono vere, così come le espressioni, i gesti. È difficilissimo capire dove si ferma l’improvvisazione e si rientra nello scritto, dove si fermano le lotte e si rientra nella coreografia.

Tutto ciò coinvolge personalmente lo spettatore in modo inaudito, costringendolo ad assorbire ogni emozione. Mariti, in un certo modo, riempie di tutto; di terrore, di comprensione, d’apprensione, di dolcezza. Più che in ogni realtà virtuale sembra di essere lì con loro, dentro lo schermo, testimoni silenziosi delle loro azioni, dei loro desideri, delle loro paranoie.

Mariti non è una commedia, non è un film: è un’esperienza. Usciti dalla sala pare di poter raccontare ciò che si è appena visto come se fosse accaduto a noi in prima persona, come se i tre protagonisti fossero veramente i nostri migliori amici.

Mariti non è solo un film, ma è una testimonianza della potenza e della magia del cinema.