Mentre Il disprezzo continua la sua riscoperta nelle sale italiane, grazie al restauro distribuito da Cineteca di Bologna, noi dedichiamo a Brigitte Bardot un approfondimento sull’icona, e su ciò che è stato scritto e pensato su di lei nel corso degli anni, a partire dalle riflessioni di Simone de Beauvoir.
Brigitte Bardot, B.B, Bri. Bri., o che dir si voglia, ninfetta o sciupauomini, incarna “una versione decisamente moderna dell’eterno femminino”, così la definisce Simone de Beauvoir nel suo articolo Brigitte Bardot e la sindrome di Lolita, pubblicato in pieno boom Bardot, una testimonianza autorevole per analizzare questo audace fenomeno di costume.
La scrittrice racconta di aver visto la Bardot in televisione e riporta le reazioni del pubblico: “Mica difficile, – dissero le donne, – lo saprei fare anch’io. Non è neppure carina. Sembra una cameriera”. Gli uomini non potevano far a meno di divorarla con gli occhi, ma anche loro sghignazzavano. Su una trentina di spettatori, due o tre soltanto la trovavano incantevole”. Una diva internazionale nonostante l’accoglienza francese sia tiepida e mostri più interesse verso il gossip quotidiano.
Considerata “monumento all’immoralità”, dopo la consacrazione di Roger Vadim con Et Dieu…créa la femme (Piace a troppi), le scandalose interpretazioni, alternate a una chiacchierata vita privata, portano all’estrema demonizzazione della sua immagine che sarà mostrata nel padiglione del Vaticano all’Expo di Bruxelles del ’58, divenendo un concreto esempio di incarnazione del male.
Questa “Baby Doll” rappresenta un nuovo tipo di erotismo frutto della sua epoca, affascina e spaventa in egual misura i benpensanti, la sua ingenua istintività provoca clamore, va ricordato che a lei sarà dedicato il brano Je t’aime…moi non plus, uno dei più conturbanti duetti della storia della musica. Da una parte, continua Simone de Beauvoir, “Marilyn Monroe, Sophia Loren e la Lollobrigida sono prove sufficienti che la donna florida non ha perso il suo potere sugli uomini”, ma parallelamente “i mercanti di sogni andavano anche in altre direzioni (…) inventando l’erotica ragazza maschiaccio”, che ha il corpo di Audrey Hepburn, Françoise Arnoul, Marina Vlady, Leslie Caron e ovviamente Brigitte Bardot, queste dive facendosi strada nell’immaginario maschile ne rivoluzionano i canoni estetici.
In Francia, “la donna perbene o poco attraente può sentirsi a suo agio nei confronti delle Circi classiche, (…) ma se il Male inalbera i colori dell’innocenza, montano su tutte le furie” e B.B. mostra un’autenticità perturbante, non ha nulla a che vedere con lo stereotipo della donna malvagia e viziosa.
Questa spregiudicata Lolita intimorisce e confonde l’uomo mettendone in discussione il ruolo, può indossare i pantaloni e non perdere il suo fascino, ammalia e incanta pur rinnegando le caratteristiche della vamp, in amore “lei è tanto cacciatore quanto preda. Il maschio è per lei un oggetto, proprio come lei è un oggetto per lui”. Una parità sessuale professata con disinvoltura la fa sembrare spregiudicata e in balia di ogni desiderio. La Bardot smaschera l’ipocrisia delle attenzioni che le si rivolgono offrendo allo spettatore un corpo sinuoso e carnale, un oggetto del desiderio esibito con naturalezza. L’ordine costituito viene ristabilito grazie al suo bisogno di essere domata, peculiarità dei personaggi interpretati che allo stesso tempo non ammettono di essere trattati licenziosamente, possedendo “una specie di dignità spontanea, un po’ come la serietà dell’infanzia”.
Il pubblico crede di aver afferrato la sua vera essenza, conosce il carattere e le passioni di B.B., non ultima quella per gli animali e accusa Vadim “di aver deformato la sua immagine”. Simone de Beauvoir spiega che inaspettatamente si sta assistendo a un vero e proprio riscatto del suo personaggio, gli articoli a lei dedicati giustificano un passato compromesso dall’esaltazione della fama. Brigitte dichiara, con l’entusiasmo di sempre, “che adora la campagna e sogna di comperarsi una fattoria”, su questa redenzione campestre la Beauvoir ironizza spiegando che “in Francia, l’amore per le mucche è considerato una garanzia di alta moralità”!
“J’en ai assez maintenant, c’est fini avec B.B., je veux crier vive Brigitte”! (Ne ho abbastanza, B.B. è finita, voglio gridare viva Brigitte), la frase testimonia la decisione dell’attrice di ritirarsi dalle scene, ed è a questo punto che Brigitte si separa da B.B. e prende vita. Celebrata come una delle tante icone consacrate da una morte prematura, la sua scomparsa dai rotocalchi, nonostante l’assenza di necrologi, ha favorito la nascita del mito.
Quello che resta del simbolo da lei incarnato lo ritroviamo in Brigitte Bardot (1983), di Milena Gabanelli e Alessandra Mattirolo, un saggio nel quale si vuole riscoprire, a distanza di anni e “dopo tanto rumore”, questa personalità provocatoria che “ha dato e preso con voracità e naturalezza” rappresentando “la spregiudicatezza e la vivacità del dopoguerra, (…) dando forma ai desideri di molti, agli impulsi inespressi di una nuova generazione”.
Cecilia Cristiani