Nella quieta oscurità della Piazzetta Pasolini un’immensa macchina metallica riflette i raggi della luna e, come gli occhi gialli rivelano la presenza di una bestia nascosta nella sua tana buia, s’illumina sulla parte anteriore della luce di una piccola lampadina. C’è un silenzio tombale nell’aria serale, interrotto in pochi istanti da qualche colpo di tosse. Ad un tratto inizia una dolce melodia nata dalle corde di una chitarra nascosta, che, accompagnata dalle parole drammatiche di una serenata, porta l’immaginazione alle coste napoletane e alle atmosfere leggere del crepuscolo. Sembra sentire il vento della sera che soffia contro i meschini palazzi affacciati con le loro finestre illuminate dal fuoco domestico sulle strade del porto.
Il sogno è interrotto lievemente da un freddo ed iterativo rumore che scaturisce dalla bestia d’acciaio. Voltandosi si scorge un fumo argenteo, illuminato da una luce bianca, fuoriuscire da un anfratto sulla parte superiore dell’animale invisibile. E mentre si riescono quasi a percepire grandi cerchi anteriori girare in verso opposto, sullo schermo si proiettano velocemente rovesciati dei silenziosi numeri in successione decrescente, i quali, a mano a mano, lasciano il posto all’immagine.
Un’immagine calda, dal colore ocra ci ricorda che, oramai desti dal nostro sogno, ci troviamo in una giornata assolata a Napoli, tuttavia priva di suono. Seguendo la musica della chitarra napoletana ed i titoli, cominciamo a vagare per le povere strade della città che risuonano delle invisibili melodie della cantante e facciamo la conoscenza dei personaggi; per primo ci si palesa un vecchio mendicante di nome Pinnatucchio (Gaston Modot), che subito si rivela essere un uomo consumato dal sole e dal vizio. Poi un giovane ed affascinante violinista, Antonio Arcella (Georges Charlia), Costanzella (Gina Manès), una bella ragazza in preda a passioni d’amore incontrollabili che ricalca la figura della “malafemmena”, ed infine una coppia di madre e figlia appartenenti all’alta società napoletana, in preda all’ozio, alla nostalgia, alla malinconia e alla solitudine.
Più si procede con la proiezione, più ci si dimentica della presenza nascosta della macchina, di cui si percepisce unicamente il continuo scattare di sottofondo alle canzoni popolari napoletane, tra le quali si riconosce anche “Malafemmena” di Totò. Ed è proprio a questa canzone tormentata che si ricollega la trama del film. Infatti, tutto l’intreccio principale si basa sul conflitto amoroso che Costanzella, appunto la “malafemmena”, causa tra Antonio e Pinnatucchio. Un conflitto amoroso che sembra quasi non terminare mai e che porta solo disgrazie a coloro che lo vivono, vinti da gelosia e follia d’amore.
Il film, grazie a frequenti didascalie che esprimono i pensieri ed i tormenti dei personaggi, mostra una profonda riflessione sull’amore passionale, sull’incontrollabilità della passione carnale (più nel maschio che nella femmina) e sulla potenza del sentimento amoroso, capace di rendere chiunque o inerme o violento. In vero stile napoletano, il regista tratta tali argomenti con la tipica drammaticità e sentimento dell’arte partenopea.
In background però, si ritrovano altre tematiche care allo sceneggiato napoletano, quali la povertà e la differenza di classe, trattata dal regista attraverso commoventi inquadrature, l’arte salvifica che assicura all’ingenuo Antonio un futuro felice, la religione e la superstizione, grazie alla figura di Pinnatucchio.