In occasione della rassegna Edward Hopper e il cinema, organizzata dalla Cineteca di Bologna e legata alla mostra che si tiene a Palazzo Fava, Cinefilia Ritrovata proporrà qualche incursione nella retrospettiva, curata con la consueta originalità dal critico e studioso Rinaldo Censi. Tra le molte proiezioni in programma, spicca lo slot dedicato a New York, con la proiezione consecutiva di Manhatta di Sheeler e Strand (1921), The Twenty-Four Dollar Island di Flaherty (1927) e New York Portrait: Chapter I-II-III di Peter Hutton (1979-1990).

Come spiega Censi, “New York è la città in cui Edward Hopper ha vissuto, oscillando tra istanti di scoramento e di perfetta simbosi con essa. Gli anni Venti rappresentano per lui il momento preciso tra la ricerca, il lavoro come illustratore e la definitiva consacrazione. Sono gli anni in cui Paul Strand, Charles Sheeler e il precisionismo sembrano imporre al pubblico una forma di realismo che deve molto a Courbet e Manet. Hopper, pur restando isolato, sembra sentire la loro presenza: si pensi a un acquerello del 1926 intitolato Rooftops. Linee architettoniche, attenzione per il paesaggio urbano, il trattamento della luce. Sono questioni su cui lavorerà sempre”.

E Dave Kehr ci ricorda come nacque il film Manhatta: “In 1920 the painter and photographer Charles Sheeler invited his friend Paul Strand, a photographer who, like Sheeler, was a protégé of Alfred Stieglitz, to collaborate on a film. Shot with a French camera that Sheeler had acquired for the staggering sum of $1,600, the 10-minute movie that came to be known as Manhatta consisted of a series of strikingly composed images, shot in Lower Manhattan, that evoked a typically epic day in the life of New York. Passengers debark from the Staten Island Ferry, steam billows in great clouds from the peaks of skyscrapers, and workers hurry past the darkened windows of office buildings, while printed titles quote lines from Walt Whitman, celebrating the “proud and passionate city.”…This resolutely modernist work, with its Cubist perspectives and percussive rhythms, most likely was, in the words of the film historian Jan-Christopher Horak, “the first avant-garde film produced in the United States.” “.

Da non perdere…