In vista della grande retrospettiva dedicata a Carlo Mazzacurati dalla Cineteca di Bologna, Cinefilia Ritrovata ha scelto di ricordare il regista attraverso le sue stesse parole, con una sorta di remix di sue dichiarazioni e riflessioni esposte durante gli anni. Cinefilo, e dunque attento alla critica e alla passione per il grande schermo, l’autore veneto e Presidente della Fondazione Cineteca di Bologna, non è mai stato un interlocutore banale, offrendo a intervistatori e interpreti del suo cinema molto materiale su cui riflettere. Ecco alcuni esempi.

“Nella provincia (in quella veneta in particolare) sono nato e mi ritrovo, un po’ perché penso che i caratteri più interessanti, le storie che vale la pena raccontare, il buono e il cattivo; tutto nella provincia italiana è amplificato, aumentato. È come se la qualità del materiale sia migliore. O forse è perché io so fare solo questo”.

“Vengo sempre accusato di non riuscire a descrivere personaggi davvero cattivi. In fondo il male viene esorcizzato dalla banalità con cui viene commesso quindi… Forse è vero che non riesco a tratteggiarli in modo profondo ma il motivo è da ricercarsi nel fatto che il male a me fa provare più tristezza che rabbia. Credo davvero che si sbagli a mitizzare il male. Io ho cercato di banalizzarlo”.

“Penso che la commedia italiana faccia parte del nostro Dna. Ma ho bisogno di calarla nel concreto. Questo è il mio teatrino: la lingua, il clima, il paesaggio, l’umanità mi appartengono. Preferisco lavorare su questo territorio: mi viene più facile immaginare le storie. Se uno racconta la sua realtà è perché la conosce e sente di poterne parlare agli altri”.

“Io, e credo anche altri, ci sentiamo più legati ai ‘ nonni’ che ai ‘ padri’ , la generazione di mezzo. Per me, oltre che Risi, è stato molto importante Pietrangeli. I miei riferimenti sono da una parte la cronaca e dall’ altra il cinema che più mi ha aiutato. Di Risi amo Il segno di Venere, Il sorpasso, Una vita difficile, Il gaucho, e Il vedovo. Esempi di una modernità che si è poi persa. Come se, dopo aver raggiunto un livello altissimo di raffinatezza di linguaggio e di toni, si sia interrotta una corrente”.

“Gran parte delle cose riuscite del cinema italiano vengono dalla combinazione dei due elementi: l’impegno civile e la capacità di comunicare con la commedia. Sono stati i due generi che più hanno saputo rappresentare il Paese. Sono in fondo le due anime del neorealismo, dal quale è uscito tutto. Personalmente mi riconosco più nel cinema degli artigiani, sento lo stesso bisogno di lavorare con altri, di progettare insieme. Credo che, come nel cinema di allora, sia sempre necessaria una base collettiva. Quello che va fatto anche oggi è ritrovarsi. Non pretendere di imitare ciò che è inimitabile ma prendere a modello quella ‘politica cinematografica’ . Perché quelle sono le situazioni sulle quali poi nasce un linguaggio, attraverso innumerevoli passaggi. Non dal nulla. E’ l’ insegnamento di modernità che ci viene da Risi e dagli altri. Non dobbiamo rifarli ma ritrovare la capacità di sceneggiare gli esseri umani, e non i contratti come dice Leo Benvenuti. Oggi molto spesso quello che vediamo al cinema ci fa dire: ma noi non siamo così”.

“Ci sono mille modi per trovare ciascuno la propria personale strada, più o meno colti, ma quello che non credo di fare è un cinema che contiene in modo formale altro cinema. Non mi interessa, per me il cinema che mi sta alle spalle o che mi cammina di fianco costituisce una dimensione emotiva di riferimento, nell’energia che esprime più che nelle forme che esprime, penso che vedere un bel film ti dà la forza e la speranza di farne anche tu. Pensare a quanto del cinema che ho visto ha contato nella mia vita – nella mia vita più che nel mio cinema – è importante, ma lo è come lo sono i libri letti o le persone incontrate”.

“Osservo con crescente disagio un gap d’incomprensione tra chi parla di quest’area, il nord in generale, e quello che questo posto è realmente. Per esempio gli si imputa il benessere senza tenere conto di un’infelicità profonda che quel benessere non ripaga. C’è disorientamento. Mi interessava raccontare il disagio profondo che una comunità, un territorio vivono di fronte alla modernità. L’incapacità di trovare equilibrio nella nuova dimensione”.

“Non senti mai il duro del fondo. Pur facendo questo lavoro che ti porta via, magari per settimane non leggi più i giornali attentamente, non sei mai così distante da quest’intossicazione dell’esistere. Che il film venga più o meno ironico e più o meno amaro, sarà di certo e completamente permeato del senso di questo disagio. Di questo disorientamento. Però restando anche una storia che contiene dei piccoli eroi cui voler bene, in cui perché no riconoscersi”.

“Cerco di tenermi ai valori, all’etica, al rigetto dell’idea ‘vincente’ che si identifica nel non guardare in faccia nessuno in nome del successo. Di difendere zone di sopravvivenza, isole che mi danno un senso di struggimento, di affetto. Intorno la degradazione, la desolazione di cui mi spiace dirlo anche la sinistra si è imbevuta fino al midollo. Trovo in particolare criminale trasmettere solo pessimismo ai ragazzi, negare loro la possibilità di sognare, sperare, migliorare”.

“Secondo me, il regista è come un pescatore che trascina una rete sul fondo del mare: sa solo in parte che cosa catturerà, e sta anche a guardare quello che il caso, l’energia che si è messa in moto, genera. Io sono sicuramente inconsapevole di tante emozioni che il film può provocare. Una cosa di cui sono però sicuro è che a me il cinema piace anche nella misura in cui non svela completamente, ma lascia delle zone di ‘non detto’ in cui ciascuno spettatore possa muoversi con la propria sensibilità”.

Marcellino pane e vino è uno dei primissimi film che ricordo di aver visto nel cinema parrocchiale in cui andavo da piccolo. Non capii quasi nulla della storia: ero emozionato principalmente dal fatto di vedere un film, e mi colpivano soprattutto i suoni, le voci dei doppiatori, il volto del bambino e quelli dei frati. Quando mi capita di trovarmi da solo, di notte, magari con la febbre, spesso uso come sottofondo sonoro il dvd di un film, perché mi faccia compagnia, probabilmente perché, provando una certa paura infantile della solitudine, sento il bisogno di una presenza che stia con me in quei momenti di fragilità”.