Il capolavoro di Fritz Lang torna in sala. Da qualunque parte lo si guardi, Metropolis è un film difficile da catturare del tutto. Troppe suggestioni, troppi appigli per l’analisi. Parti dalla messa in scena, dal tema dell’automa e del doppio, o dall’espressionismo tedesco e in un batter di ciglia ti sei già allontanato per vie traverse a rincorrere influenze e rimandi. Poi ti volti e la città raccontata da Lang è ormai lontana. Lei, Metropolis, la vera protagonista. Dal di fuori, da lontano, si staglia in tutta la sua imponenza. I suoi grattacieli si poggiano sulle fragili fondamenta di un disagio sociale pronto a esplodere. La sua è una distopia condivisa da altre, più o meno celebri, città videoludiche.
Non si può che iniziare dalla Rapture di BioShock. È come se Metropolis fosse stata spostata nelle profondità dell’Oceano, di peso, per un capriccio di Andrew Ryan. Rapture viene fondata a metà degli anni Quaranta, in fondo al mare. Una città ideale pensata per ospitare le migliori menti umane, un esperimento sociale le cui radici filosofiche affondano nell’Oggettivismo di Ayn Rand. “Un uomo non ha diritti sul sudore della sua fronte? No, dice l’uomo di Washington; appartiene ai poveri. No, dice l’uomo in Vaticano; appartiene a Dio. No, dice l’uomo di Mosca; appartiene a tutti. Io rifiuto queste risposte. Piuttosto, scelgo qualcosa di diverso. Scelgo l’impossibile. Scelgo… Rapture”. Un’utopia che si trasforma presto in distopia: quelle architetture Art déco, mirabile esempio di creatività digitale, diventano teatro di una sanguinaria guerra civile. In fondo al mare si infrange il sogno di un pazzo visionario.
A Columbia la storia si ripete. “Ciò che è fatto è fatto. Ciò che è fatto sarà fatto”. Sono gli anni Dieci e in BioShock Infinite il giocatore viene trascinato dalle profondità marine ai cieli di Columbia, città fluttuante fondata da Zachary Comstock. Qui l’architettura è neoclassica, uno stile particolarmente diffuso negli Stati Uniti tra fine Ottocento e inizio Novecento. In Columbia rivivono ideali nazionalistici e religiosi della cultura americana. Ideali che, sotto la superficie, celano xenofobia e fanatismo. Anche la società di Columbia è sull’orlo del collasso: le rivolte sociali sono dietro l’angolo.
La Midgar di Final Fantasy VII è un’enorme città circolare, di chiara influenza steampunk, disiva in sezioni e poggiata su una serie di pilastri e reattori. Nei bassifondi, sotto ai quartieri in cui vivono i cittadini benestanti, sono relegate ai margini le classi meno agiate. Ai più poveri la luce del sole è negata. In Midgar la differenza sociale si esprime dal punto di vista urbanistico, come in Metropolis. Se a Midgar la differenza di classe è una questione verticale, in Killzone: Shadow Fall le contrapposizioni si fanno orizzontali. A dividere umani e Helghast, a Vekta City, è un grande muro eretto per dare agli Helghast rifugio dopo la distruzione del loro pianeta. La convivenza forzata rivela tutta la fragilità di una scelta politica che non ha però risolto il conflitto tra le due razze.
A City 17 non si respira aria di libertà. Con quel suo nome anonimo e seriale, la città di Half-Life 2 si mostra per quel che è: un simbolo urbano di oppressione e dittatura. In questo caso la colonizzazione è aliena. Il degrado si manifesta negli interni messi a soqquadro da un regime che controlla ogni cittadino o dagli oggetti e dai giocattoli abbandonati in fretta e furia sulle strade. L’architettura ricorda le città dell’Europa dell’Est e l’atmosfera è spettrale, spersonalizzante. Qua e là si creano focolai di rivolta contro l’invasore. Anche l’anonima e futuristica città di Mirror’s Edge parla di un regime oppressivo, che controlla i media e annienta ogni forma di protesta. Il risultato è una società sedata, messa a tacere. In un contesto simile, gruppi rivoluzionari comunicano attraverso corrieri umani. Il conflitto di classe si gioca tra chi detiene le informazioni e chi vorrebbe accedervi. Un’altra distopia è servita.
Di ritorno a Metropolis, infine, tutto appare più chiaro. La città del film di Fritz Lang, Rapture, Columbia, Midgar e le altre sono luoghi immaginari che hanno lo stesso peso dei divi.
Andrea Dresseno