Cinefilia Ritrovata sta seguendo Venezia Classici, sezione dedicata al grande cinema del passato all’interno della 73ª edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia (potete leggere gli articoli precedenti qui). La sezione è arricchita, grazie al restauro della Mosfilm, dalla presenza di Stalker, capolavoro di Andrei Tarkovsky. Nel 1979 il regista russo torna a rivisitare la fantascienza sette anni dopo Solaris, trovando finalmente la perfetta sintesi tra tematiche sci-fi e il suo linguaggio di cineasta.
Liberamente tratto da Picnic sul ciglio della strada, delle peripezie del romanzo dei fratelli Strugatsky resta solo una pallida ombra. Concentrandosi sull’ultimo capitolo, l’azione viene asciugata e la storia ridotta al nocciolo: un territorio misterioso, un manipolo di viaggiatori e una meta miracolosa. Le inquadrature dilatate trasfigurano il materiale narrativo e nel vuoto lasciato dall’assenza di dinamismo si innestano le parole dei protagonisti. Poesie e riflessioni sull’animo umano ci accompagnano in questo viaggio di due ore e 40 minuti, facendo da contrappunto ad un’affascinante colonna sonora. Grandissimo merito di Eduard Artemyev – compositore russo già presente in Solaris e Lo specchio – è quello di donare al paesaggio una vera e propria voce, rendendolo personaggio a tutti gli effetti. La Zona, il luogo desolato dove i protagonisti si avventurano, si esprime attraverso un’ampissima gamma di gorgoglii, scricchiolii e sibili, efficacissimi nel rafforzare il perturbante emanato dalle location. Riverberi innaturali e strani sobbollimenti, accompagnati dall’emergere di sporadiche melodie etniche, tessono una prospettiva magica in cui tutto può succedere e il pericolo è sempre dietro l’angolo.
Centrali in Stalker sono la mancanza di fede e il radicamento dell’uomo nell’immanenza. I protagonisti, che per tutto il tempo vengono chiamati lo Scrittore e il Professore, rappresentano tipologie umane naturalmente attratte dall’ignoto, uno alla ricerca d’ispirazione e l’altro di conoscenza. Quando però si trovano alla soglia della Stanza, dimensione in cui i loro più profondi desideri saranno avverati, in loro trionfano paura e calcolo individuale: lo Scrittore teme la possibilità di poter conoscere davvero il suo cuore e il Professore si rivela guidato dalla paura piuttosto che da curiosità e desiderio di scoperta. Ambedue dubitano inoltre dell’onestà dello Stalker, derelitto il cui unico scopo nella vita è aiutare gli altri a raggiungere la felicità, ma se resteranno radicati alla propria singolarità e alle proprie sicurezze nessuno di loro potrà ambire alla salvazione.
Opera esemplare della poetica tarkovskiana, quello “scolpire il tempo” capace di mettere a nudo l’essenza del mezzo cinematografico, Stalker si conferma uno dei momenti più alti nel percorso di un grande cineasta.
Gregorio Zanacchi Nuti