Il primo lungometraggio di Cristian Cappucci, I Talk Otherwise – Altrimenti Io Parlo, è stato presentato come evento speciale nella sezione “Fare cinema a Bologna e in Emilia Romagna” del festival Visioni Italiane. Si tratta di un road – doc – movie ambientato lungo le sponde del Danubio. Il film è il racconto di un lungo viaggio, che segue il corso del fiume dalla sua origine nella Foresta Nera fino alla foce nel Mare Nero, attraversando con esso luoghi, Paesi, culture e lingue profondamente diverse.
Dai tratti onirici il viaggio lungo il Danubio si trasforma in una sorta di metafora dell’uomo moderno, un’istantanea del ‘900, in cui il regista tenta di rivisitare in chiave allegorica le mutazioni sociali e antropologiche di quei luoghi per poi arrivare a rappresentare la fine dell’era moderna sfruttando, per dirlo con le parole di Cappucci, l’aspettativa del viaggio Danubiano come un grande baluardo simbolico che percorre l’Europa da Ovest a Est.
Come suggerisce una delle “didascalie” che, di tanto in tanto, supportano il racconto del film “soltanto i pensieri nati camminando hanno un valore”, così il regista invita lo spettatore ad attraversare il fiume compiendo un proprio viaggio interiore, offrendo molteplici suggestioni e spunti di riflessione. La fotografia regala immagini splendide che mettono in scena la varietà culturale e paesaggistica che caratterizza quei luoghi: ora ci troviamo immersi nelle vedute della campagna tedesca, ora siamo circondati dalle luci della città di Vienna, ora siamo tra la nebbia di Ruse in Bulgaria.
Lungo il percorso incontriamo storie diverse, piccoli frammenti di vita che rispecchiano la molteplicità culturale proliferata sulle sponde del Danubio, come se queste diverse tradizioni traessero origine dal fiume stesso, come se, tramite il suo flusso, si ritrovassero ad essere tutte legate insieme dalla stessa corrente, fil rouge di tutto il film. Ciò che rende interessante questo percorso è lo sguardo con cui di volta in volta ci viene presentato lo spazio, sempre filtrato dall’occhio delle persone che mano a mano incontriamo e che impariamo a conoscere. È così che ad esempio il fotografo Dragoljub Zamurovic dall’alto del suo aliante ci regala alcune delle immagini più belle di tutto il documentario in cui viene mostrata la campagna di Belgrado e ancora una Vienna vista dagli occhi di tre taxisti, due uomini e una donna che ci mostrano tre prospettive diverse della città.
Non solo persone ma anche eventi e luoghi storici vengono presentati come simboli della cultura che li ha prodotti, ad esempio il Festival Ars Electronica di Linz in Austria, senza dubbio una delle manifestazioni più rivoluzionarie nell’ambito dell’elettronica in cui ricerca e arte si fondono dando origine a sperimentazioni artistiche sociologiche e tecnologiche. Oppure il Walhalla tempio neoclassico che sorge su una collina lungo il fiume nei pressi di Ratisbona e che qui rappresenta il cuore della modernità.
Per la realizzazione del documentario sono stati impiegati 7 anni, in cui sono stati percorsi 9000 km, girate 400 ore di materiale video e raccolte 50 ore di immagini di repertorio. La post-produzione, durata 3 anni, ha lavorato sulla costruzione di un linguaggio unitario che riuscisse a conciliare le fratture e mescolanze dei popoli e luoghi portati davanti alla macchina da presa. Altro elemento estremamente interessante è legato alle musiche che accompagnano le immagini, infatti la soundtrack varia da sonorità black a sonorità più elettroniche comprendendo sia brani editi, come ad esempio la cover della canzone Hotel California, sia produzioni proprie dei compositori che hanno collaborato alla realizzazione del film.
Il film, proprio come il fiume, conduce gli spettatori nell’emozionante esperienza di un viaggio compiuto in un’Europa non schematizzabile in una cartina geografica; in esso emergono i segni di mutamenti e spaccature profonde che ancora attraversano quei territori e che rendono impossibile delimitare in netti confini temporali e spaziali quei paesaggi e quelle storie.
Valentina Ceccarani