Abe Lucas, andamento sgraziato e fiaschetta sempre in tasca, è un professore di filosofia deluso dalla vita e dall’indole profondamente pessimista, interpretato da un appesantito Joaquin Phoenix. Dopo essersi trasferito in una cittadina nel Rhode Island per insegnare al college, incontra Jill, una giovane e brillante studentessa interpretata da Emma Stone, con la quale instaura un rapporto di amicizia destinato a trasformarsi presto in qualcos’altro. Sarà il caso a dare una svolta alla vita di Abe, provocando un brusco cambiamento nel suo stato d’animo e nel suo approccio alla vita.
A un anno di distanza dall’ultimo film, Woody Allen abbandona le scene europee e fa ritorno negli Stati Uniti, con un film che racchiude molte delle tematiche a lui più care: l’insensatezza dell’esistenza, il pessimismo, la morte, la colpa, il fine che giustifica i mezzi. Ma soprattutto è il caso a essere il vero fil rouge del film, il vero motore che aziona una serie di eventi dalle conseguenze tanto imprevedibili quanto irreparabili. Il caso è ciò che governa il mondo, come viene sottolineato più volte nell’arco del film. Ed è proprio quest’insistenza nel voler spiegare ed analizzare tutto ciò che viene mostrato allo spettatore, attraverso le voci fuori campo dei due protagonisti, a risultare pedante e a tratti invadente.
A far riacquistare la voglia di vivere al protagonista non sono né l’amore, incarnato dal personaggio della Stone, né la passione, rappresentata da un’irruente professoressa di chimica, bensì l’omicidio. È solo attraverso la morte di un’altra persona che Abe Lucas ritrova nuovamente sé stesso e riesce a ridare un senso all’esistenza. L’irrazionalità prende quindi il sopravvento e porta il protagonista a lasciarsi alle spalle il filosofeggiare pessimista di Kierkegaard e Heidegger, per abbracciare la vita con un entusiasmo che si rivela a tratti improbabile.
Il film, che per le tematiche affrontate richiama subito alla mente Match Point e Sogni e Delitti, è tuttavia ben lontano dal ricavarne la medesima incisività. Manca infatti in Irrational Man quel senso di inquietudine ambigua e funesta che pervadeva Match Point, o quell’umorismo tragicomico dalle venature noir di Sogni e Delitti. Nonostante l’ottimo cast ed una cura sempre minuziosa dei dettagli per quanto riguarda scenografia e fotografia – una meraviglia per gli occhi ad opera di Darius Khondji – il film non riesce a decollare. Complice anche una sceneggiatura “pigra” e priva della tipica mordacità alleniana, che rende Irrational Man una copia sbiadita delle opere precedenti del regista.
Barbara Monti