L’omaggio che la Cineteca di Bologna dedica a Franco Maresco, oltre a consacrare un autore sempre più coerente e al contempo sorprendente, offre l’occasione per tornare sul magnifico Belluscone, film di capitale importanza per come si posiziona nel cinema italiano, intorbidendo le acque del realismo trasparente e provocando una scossa nel mondo spesso addormentato dello schermo “militante”. A seguire, una piccola raccolta di recensioni online, colta tra le migliori testate culturali.

Belluscone è tutt’altro che un lavoro perfetto. Ma è il film umanamente più straziante che l’Italia abbia partorito negli ultimi decenni. Incide una ferita profonda nel nostro ventre che solo Franco Maresco, tornando tra noi e continuando a lavorare, potrà guarire” (Roberta Ronconi, Articolo 21).

“Partito come un documentario sul rapporto tra Berlusconi e Cosa Nostra, il film devia verso un viaggio tra i cantanti neomelodici al seguito dell’irresistibile impresario Ciccio Mira, come a mostrare una sorta di transfert collettivo e delle segrete assonanze tra due mondi in apparenza lontani. Ma in realtà il tutto subito si interrompe e collassa: Maresco, ci dice il film, è sparito, forse vittima del proprio film, e sulle sue tracce parte un Tatti Sanguineti un po’ Caronte e un po’ Philip Marlowe” (Emiliano Morreale, Sole 24 ore)

“Nel suo nuovo film, e nel tormentato processo che ha portato alla sua realizzazione, ci sono dunque tutte le ombre e le epifanie delle opere firmate insieme a Daniele Ciprì, e alla sua magistrale fotografia: c’è la musica napoletana neo-melodica e la Mafia, il sottoproletariato di Palermo e le icone del potere, l’analisi storico-antropologica e il ragionamento meta-cinematografico su realtà e finzione, c’è soprattutto il cinismo del tempo presente, ingurgitato e vomitato affinché ci si liberi, con una risata beffarda, di ogni ipocrita speranza. E c’è il grottesco che, riprendendo la grande tradizione della commedia all’italiana, s’impone come chiave di comprensione della realtà, esorcismo contro i demoni dell’inconscio collettivo, e, infine, unica via di scampo alla tragedia” (Giuseppe Schillaci, Nazione Indiana).

“Ma anche se il film è esuberante e rumoroso lo si può considerare un film sul silenzio: tutti i non detti che ne tessono la trama collegano uno dopo l’altro i non detti dei suoi personaggi, cantanti, manager, pentiti, politici. Questa struttura dà senso d’essere al film, perché nessun documentario potrebbe ormai rivelare cose nuove sull’impero berlusconiano, la criminosa nascita del quale è nota a tutti. Per non ripetere ancora le cose già dette da innumerevoli documentari, reportage, libri e articoli, Maresco riduce al minimo le informazioni fornite al pubblico, mettendo al centro del suo film tutto ciò che è marginale: da una parte la bizzarra fauna dei neomelodici, dall’altra il farsi del film. Nell’incontro tra questi due elementi predominanti, cioè quando la macchina da presa indugia negli intervalli tra le intervista, quando continua a filmare oltre i limiti di ciò che dovrebbe interessare al suo occhio, si svela un mondo agghiacciante per la traboccante omertà e ignoranza, ma che nonostante questo risulta anche quasi esilarante, per la candida ingenuità di certi personaggi, del tutto inconsapevoli delle loro parole. In questo Belluscone risulta vincente, perché riesce a prendere un argomento abusato e non solo vi trova un punto di vista nuovo, ma lo rende anche un brillante punto di incontro tra reportage e fiction, dal cui rapporto nasce il film stesso” (Marcello Bonini, Quattrocentoquattro).

“Il realismo, secondo la formula di Siti, è la postura che è capace di cogliere impreparata la realtà. Non c’è forse definizione più appropriata per il modo, apparentemente stralunato e surreale di guardare il mondo che restituisce Franco Maresco in Belluscone. Grazie anche alla delicatezza e alla forza narrativa di un Tatti Sanguinetti chandleriano, Maresco indaga con questo film i legami profondi di Berlusconi con la realtà siciliana. E invece di andare alla caccia di atti processuali o di intraprendere inchieste pseudopoliziesche, sprofonda (letteralmente, verrebbe da dire) dentro il mondo delle feste rionali, riprendendo e facendo parlare l’organizzatore di queste feste, Ciccio Mira (personaggio reale che nessuna fiction potrebbe credibilmente forgiare), parlando con i cantanti cosiddetti neomelodici, intervistando Marcello Dell’Utri seduto su un trono imperiale e registrando la rabbia contro il fonico quando il microfono smette di funzionare proprio nel momento in cui Dell’Utri sembra lasciarsi andare a confidenze scottanti; ma soprattutto inquadrando gli imbarazzi e le più comiche e inquietanti vie di fuga degli intervistati messi di fronte alla richiesta di dire una parola contro la mafia” (Luca Illetterati, Le parole e le cose)