“The Palace” e i mostri di Polanski

Senza commettere l’errore di considerarlo alla stregua un lavoro disimpegnato, il nuovo film di Polanski si dispiega fra i registri della comicità spinta, attingendo dalle divagazioni comiche del passato (Che?, Pirati) e con un occhio alla circoscrizione spaziale del suo più recente cinema di stampo teatrale (Carnage, Venere in Pellicia). In questo rivela la sua presenza tramite la manifesta volontà di non accettare il compromesso, di impadronirsi nuovamente di un genere pesantemente codificato, troppo spesso soffocato dai cliché.

“L’ultima luna di settembre” e lo squarcio sul sogno

L’ultima luna di settembre cala lo spettatore in un mondo alieno, cadenzato da ritmi compassati, incompatibili con la frenesia urbana. I morbidi movimenti di macchina, che seguono inebriati i paesaggi naturali, e la rilassante dilatazione temporale ci pongono di fronte al sogno di un’esistenza spiritualmente piena che il caos della metropoli rende ormai impossibile. Però si tratta pur sempre di un sogno, uno squarcio nella quotidianità destinato a ricucirsi.

“A Strange Way of Life” e il desiderio del western

Almodóvar non vuole rifare il western classico, lo vuole reinventare. E lo fa senza eludere le caratteristiche di genere ma rivisitandole e aggiungendo al tutto una tensione ambigua, sotterranea e pronta a esplodere con violenza come accade in un altro western recente quale Il potere del cane di Jane Champion, a cui il regista ha confessato di aver guardato. Inoltre vanta una cornice di arredi, abiti e oggetti di scena elegantissimi, frutto della collaborazione con Yves Saint Laurent. 

“Il caftano blu” e il canto dei tessuti

Il caftano blu è un film che si costruisce su una concezione del tempo particolare, una dilatazione che si realizza attraverso il documentare paziente e meticoloso del susseguirsi di giornate di lavoro, di ricami che non vogliono terminare, di pasti fumanti lasciati sul tavolo. Non solo il tempo, ma anche lo spazio si dilata, si trasfigura attraverso il tocco pittorico di Touzani, le cui inquadrature sono segnate da un contrasto soffuso tra luce e ombra che divide e altera l’esteriorità dei luoghi facendoli apparire realistici ma allo stesso tempo intrisi di lirismo.

“Felicità” come volontà di salvezza

Non stupisce che Felicità abbia vinto il Premio degli spettatori – Armani beauty della sezione Orizzonti Extra all’ultima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia: l’opera di Ramazzotti presenta allo spettatore famiglie tossiche e disfunzionali, elegge a eroina una “donna storta” (parole dell’autrice), pone in evidenza la necessità di ricontestualizzare nel nostro presente il ruolo e il concetto stesso di famiglia, eppure, nel suo sostenere l’idea che tutti hanno diritto alla felicità, risulta un film poetico, delicato, emozionante.

“Frammenti di un percorso amoroso” e il fantasma dell’immagine d’amore

Frammenti di un percorso amoroso è un film intimo e personale, ma vive in lui una universalità di fondo. Bastano pochi attimi per rimanere intrappolati nella storia, riconoscersi nelle dinamiche amorose, nelle passioni giovanili, nelle delusioni d’amore, nella curiosità per il mondo e per gli altri e sui quesiti che ne conseguono. Prodotto da Lynn, divisione di Groenlandia rivolta a progetti con regia femminile, è il ritratto di un percorso amoroso collettivo.

“Assassinio a Venezia” e la metafisica calcolata

L’eccessiva centralità di Branagh si avvertiva già nei primi episodi, non è di certo una novità. Qui però emerge in maniera troppo evidente quanto l’unico a divertirsi sia proprio il regista stesso. C’è uno scollamento importante tra l’ambizione potenziale del film e la resa sul grande schermo. Branagh si aggrappa in maniera ferrea a un immaginario antico, superato, con inquadrature insistentemente oblique, tagli di luce che vorrebbero rimandare ai misteri delle sedute spiritiche o primi piani mirati a inchiodare i personaggi come fossero streghe da condannare al rogo medievale

“Mes petites amoureuses” di fronte all’illusione d’amore

Eustache, inaugurando un discorso che avrebbe proseguito e ulteriormente radicalizzato col successivo Une Sale Histoire (1977), collocandosi tra il rigore di Robert Bresson e l’inadattabilità esistenziale proposta in L’Enfance Nue di Maurice Pialat, dispiega la sua “verità” intrecciando sguardo e corpo. Daniel, in assenza di una madre affettuosa, abbandona gradualmente l’innocenza vissuta nella natia Pessac per meditare sul suo posto nel mondo.

“Un sterminata domenica” dentro lo specchio delle immagini

In uno scenario fra Pasolini e Caligari, Parroni sembra tornare alla nouvelle vague per raccontare l’insofferenza giovanile allo status delle cose. Al di là di alcune affettazioni, la cifra stilistica c’è e passa attraverso una forma libera nell’intenzione e studiatissima in concreto: predominanza assoluta della macchina a mano, inquadrature grezze e tremolanti, montaggio frammentato, un occhio molto buono per l’utilizzo di punti di ripresa inusuali ma efficaci.

“Le mie poesie non cambieranno il mondo” e l’ispirazione della vita quotidiana

Le mie poesie non cambieranno il mondo, è il documentario presentato in anteprima alle Giornate degli autori dell’ottantesima Mostra del Cinema di Venezia (prodotto da Fandango e Rai Documentari), che la giornalista Annalena Benini e lo scrittore Francesco Piccolo hanno dedicato al racconto dell’ultimo tratto di vita della poeta Patrizia Cavalli (come amava definirsi) e all’immortale scia luminosa lasciata dai suoi versi.

“Il più bel secolo della mia vita” e il road movie degli opposti

A dispetto del titolo banalotto, uguale a stormi di altre commedie italiane che tentano di sedurre il pubblico a colpi di superlativi, Il più bel secolo della mia vita merita dunque certamente una visione: nulla di inedito ma tutto molto ben centrato e, nella prima parte in particolare, anche parecchio divertente. Niente male per una commedia che porta avanti un tema sociale col giusto bilanciamento fra serietà e facezia. 

“Film Blu” trent’anni dopo

L’allure che negli anni ‘90 circondava la Trilogia dei colori (Film Blu, Film Bianco, Film Rosso) del regista polacco Krzysztof Kieslowski a distanza di trent’anni potrebbe sembrare forse un po’ sbiadito, eppure l’intera serie recentemente restaurata in 4K, conserva inalterato almeno il fascino di un poema di intensa stranezza, di un trittico ambientato in un luogo anfibio a metà strada tra il mondo reale e l’immaginario, che rappresenta al contempo una riflessione antropologica sui sentimenti dell’essere umano e una insolita esperienza estetica per lo spettatore.

“Io Capitano” e l’umanità dell’eroe ingenuo

Un coming of age concentrato nel tragitto fra il Dakar e le coste della Sicilia, durante il quale il disincanto di un adolescente viene temprato dalla crudeltà degli uomini per trasformarsi rapidamente in senso di responsabilità e propensione al sacrificio. Dopo i successi ottenuti con la sua trasposizione di Pinocchio (2018), Garrone tesse nuovamente le trame di una fiaba in cui il protagonista ingenuo intraprende un viaggio in cui deve confrontarsi con creature mostruose che ricambiano la sua fiducia con l’inganno e puniscono la sua innocenza con il dolore.

“The Store” e la società dei consumi

La regista svedese tocca i tasti giusti mostrando come l’ossessione per la produttività trascini verso il basso le condizioni di lavoro, trasformando la vita degli operai in un inferno psicotico basato sulla competizione tra colleghi. Nonostante lo scenario inquietante Ami-Ro Skold lascia, forse ironicamente, le porte aperte ad un modello diverso e sostenibile, rappresentato dalla comune organizzata dai senzatetto. Una società che vive grazie agli scarti del supermercato e che diviene preferibile a quella civilizzata.

“Due fratelli” e i legami da recidere

Se nel suo importante esordio Montparnasse – Femminile singolare l’emergente Léonor Serraille raccontava i tentativi della protagonista Paula di costruire e difendere una propria autonomia e indipendenza tra affetti e lavoro, nel secondo lungometraggio la regista parte da uno spunto simile per intraprendere invece altri percorsi. Due fratelli affronta così dinamiche della marginalità sociale da una prospettiva che apre a considerazioni su cui il cinema ha il compito di riflettere e far riflettere in un contesto complesso come quello contemporaneo.

“Passages” dentro felicità e squilibri

Per quanto improbabili e a tratti insopportabili siano il benessere e la disinvoltura ostentati dai protagonisti rispetto al costo della vita a Parigi, è davvero difficile rimanere indifferenti alla loro vitalità, che è poi la stessa del ritmo irresoluto e degli squilibri imperterriti esibiti da Sachs in termini registici. La felicità di ciascuno di loro significa l’infelicità di uno degli altri tre, e i “passaggi” sono necessari ad assicurare al triangolo una forma di precaria stabilità, fino al punto di rottura finale.

Potere e follia. Ancora su “Rossosperanza”

In un mondo tendente all’uguaglianza asettica e pronto ad abbracciare il nuovo millennio, la speranza di Annarita Zambrano è forse quella di far vincere per una volta quello che abbiamo rimosso o confinato in edifici facilmente identificabili con Villa Bianca, luoghi in cui si è cercato di perseguire l’eliminazione riscontrata da Basaglia. Soffocare conduce alla morte, è risaputo, ma che bello sapere che sullo schermo si può allentare la morsa violenta e lasciare che i corpi degli oppressi reagiscano non soltanto narrativamente ma anche con il sangue.

“Rossosperanza” e la borghesia viziata

Attraverso uno spaccato anni Novanta un po’ grottesco e un po’ idillico, Rossosperanza accompagna lo spettatore in un mondo dalle tinte gotiche e glam, nel quale lo sfarzo e l’eccesso diventano l’emblema di quel berlusconismo che ha delineato l’immagine nazionale. Gli elementi della mondanità sono tutti presenti: i club, le droghe sintetiche, la prostituzione e una borghesia romana bacchettona e ipocrita.

“Oppenheimer” speciale II – La filosofia di Nolan

Nolan fuoriesce dall’illusione (ripensiamo a The Prestige o a Interstellar) e penetra un immaginario più denso, cupo, vero, abitato da fantasmi atomici e vite immerse nell’ambiguità etica; non più immaginazione foriera di duplicazioni e moltiplicazioni illusionistiche e pseudoscientifiche. Nulla di ciò che vediamo è falsificato o falsificabile, proprio come un postulato fisico, e tutto ciò che riprende la macchina da presa si esaurisce nell’impossibilità di una nuova ri-trasformazione umanistica post-atomica.

“Oppenheimer” speciale I – Classico e contemporaneo

Oppenheimer è un film classico ma al tempo stesso assai contemporaneo, un lavoro di ricerca quasi filologica su un immaginario che ha contribuito a rendere grande un cinema e una nazione, un racconto su un uomo che ha cambiato le sorti del pianeta. In tal senso è probabilmente il lavoro più autobiografico di Christopher Nolan, un film in cui regista, protagonista e pellicola in sé si relazionano alla stessa maniera e si sovrappongono sull’orlo di una voragine profondissima.

Speciale Barbie II – Tra dress code e valore politico

Un’opera che fa ridere tutti, riflettere alcuni e soprattutto sbeffeggia quelli che in questo branded movie riconoscono solo una mossa per guadagnare sulla lotta per i diritti e non quello che Barbie di fatto è: un lavoro che ci insegna a non prenderci troppo sul serio – perfino quando sui corpi delle donne e delle minoranze di genere si fanno delle guerre, quando non si può girare serenamente per strada, quando non viene riconosciuto il valore del proprio lavoro e quando già solo esistere si trasforma in un atto politico.