“Persepolis” e la genesi del film

“Scrivendo i libri, ho dovuto ripercorrere sedici anni della mia vita, comprese le cose che avrei decisamente preferito dimenticare. È stato un processo molto doloroso. Avevo il terrore di cominciare a scrivere la sceneggiatura, e non avrei potuto farlo da sola. La parte più difficile è stata cominciare, e prendere le distanze dalla storia in prima persona. Abbiamo dovuto ripartire da zero per creare qualcosa di diverso, ma con lo stesso materiale” (Marjane Satrapi).

“Persepolis” e la critica

In occasione della distribuzione di Persepolis in versione 4K per il progetto Cinema Ritrovato al Cinema, offriamo una breve antologia critica dedicata al capolavoro di Marjane Satrapi. Un film che è “il viaggio magico e commovente di una ragazza alla scoperta di se stessa, della propria voglia di restare integra e coerente, e insieme l’esperienza (da parte dello spettatore) di un modo di rappresentare e raccontare la realtà lontano dalla verosimiglianza troppo invadente di oggi e vicinissimo alla poesia e alla vera arte”.

“La signora della porta accanto” e la critica

Parola a Serge Daney: “Se La signora della porta accanto è un film così riuscito e, alla fine, così commovente, è perché Truffaut, nemico dell’esibizionismo delle passioni e delle idee, uomo della giusta misura e del compromesso, cerca questa volta di filmare il compromesso stesso, di farne la materia, la forma stessa del film. La scommessa di Truffaut è uscire da La camera verde, mescolare la sceneggiatura Hyde (la passione morbosa e privata) e la sceneggiatura Jekyll (gli altri, la vita pubblica) senza che l’una prevalga sull’altra, senza che lo spettatore debba scegliere fra le due”.

“The Dreamers” e la cinefilia morbosa

A metà fra Prima della rivoluzione e Ultimo tango a Parigi, The Dreamers è un racconto sul suicidio dell’utopia, su passioni ingenue vissute ingenuamente, in cui i personaggi cercano disperatamente di esprimersi attraverso i corpi, morboso come solo le migliori opere di Bertolucci. Perfino la cinefilia dei personaggi è malsana e diventa uno strumento di ricatto, un pretesto per giocare a fare i sadici umiliando sessualmente chi non coglie la colta citazione cinematografica di turno.

“The Dreamers” e la critica

Anche per il nuovo film del progetto Cinema Ritrovato al cinema offriamo un assaggio della sua accoglienza critica. Perché, come scrisse Ida Dominijanni, “nei Dreamers non c’è il Progetto rivoluzionario, non c’è l’unità operai-studenti, non c’è l’internazionalismo contro il Capitale: c’è il momento aurorale appunto, in cui tutto questo è ancora a venire, e una più grande ‘pulsione visionaria utopica’ lo rende possibile, pensabile, fattibile. Corpo, politica, cinema, musica, sessualità, filosofia: erano questi gli ingredienti di quel ‘focolaio magico’ che preparò l’esplosione del Sessantotto nella vita pubblica come in quella privata”.

“Io ti salverò” e la sua genesi. Testimonianze e ricostruzione

Era, come dirà Hitchcock a Truffaut, “un romanzo melodrammatico e realmente folle che raccontava la storia di un pazzo che s’impadroniva di una clinica di pazzi! Nel romanzo, perfino gli infermieri erano dei pazzi e facevano ogni sorta di cose! La mia intenzione era più ragionevole, io volevo soltanto girare il primo film di psicoanalisi”. Il regista decide di conseguenza di mantenere in piedi soltanto la cornice ambientale, qualche situazione e qualche personaggio e poi cambiarne completamente la struttura narrativa.

“Io ti salverò” e la critica

Riscoprire Io ti salverò. L’antologia critica offre tanti spunti. Come scrive Dave Kher: “Lo sgargiante freudismo di questo film di Hitchcock del 1945, sostenuto da una sequenza onirica ideata da Salvador Dalí e una roboante colonna sonora di Miklós Rósza, può renderlo difficile da apprezzare, ma al di sotto della superficie c’è un intrigante studio alla Hitchcock sul ribaltamento dei ruoli, con medici e pazienti, uomini e donne, madri e figli che capovolgono le relazioni assegnate, con risultati avvincenti e sovversivi”.

Dude, Walter e altre storie. Nascita di un cult

Spesso mi chiedono se non sia sorpreso della quantità di attenzione che Il grande Lebowski ha ricevuto negli ultimi anni. Generalmente sembrano aspettarsi che io dica “sì”, ma la mia risposta è sempre “no”. Quello che mi sorprende è che non abbia avuto il successo che pensavo quando è uscito. Era così divertente, e i fratelli Coen avevano appena vinto l’Oscar con Fargo: pensavo che la gente avrebbe fatto la coda ai botteghini. A dire la verità, ero piuttosto deluso. Ma adesso… beh, sono felice che venga apprezzato, che abbia trovato il suo pubblico.
(Jeff Bridges)

“Il grande Lebowski” e la critica

Dude e i suoi compagni si confrontano sulla risposta appropriata all’aggressione e sulla definizione stessa di virilità. I Coen suggeriscono ripetutamente – in un modo che è diventato uno dei loro tratti distintivi, mascherando la sincerità con lo sberleffo – che Il grande Lebowski ruota intorno alla domanda “Che cosa fa di un uomo un uomo?” e che Dude è “l’uomo al posto giusto nel momento giusto” – un improbabile rappresentante della virilità e della virtù che si pone in netto contrasto, ma non può correggere, i valori corrotti della sua epoca (Marc Singer, dall’antologia critica). 

“Il grande Lebowski” dentro al serbatoio dei generi

I generi, per i Coen, non sono che un grande serbatoio di temi e figure da cui attingere per ricreare qualcosa di segno completamente differente: una rilettura comica dei generi classici hollywoodiani (oltre che dei miti della cultura americana, a partire da quello dell’eroe). Il grande Lebowski è una commedia costruita come un noir che cita e allude ad altri generi, dal western, evocato nell’incipit e nella figura dello Straniero, al musical, a cui s’ispirano le sequenze oniriche.

“Il cielo sopra Berlino” nelle parole di Wim Wenders

Racconta Wenders: “Io ho provato un desiderio, e mi è balenata la luce di un film a Berlino, e quindi anche su Berlino. Un film che potesse dare un’idea della storia di questa città dalla fine della guerra. Un film che riuscisse a far lievitare, a palesare nelle sue immagini ciò che in tante pellicole ambientate qui manca, ma che appena si arriva in questa città sembra esser lì davanti ai tuoi occhi in modo così tangibile: un insieme di sensazioni, certo, ma anche un qualcosa nell’aria, che senti sotto ai tuoi piedi, che ritrovi nei volti degli altri; insomma tutto ciò che fa la differenza tra vivere a Berlino e in un’altra città”.

“Il cielo sopra Berlino” e la critica

Un assaggio dell’entusiasmo critico che Il cielo sopra Berlino suscitò all’uscita: “Si viene sedotti dall’incantesimo di questo film. Scorre lentamente, ma non si diventa impazienti, perché non c’è una trama vera e propria, e quindi non ci si preoccupa di passare alla prevedibile tappa successiva. È una pellicola sull’essere, non sul fare. Crea uno stato d’animo di tristezza e isolamento, di desiderio, di transitorietà delle cose terrene. Se l’essere umano è l’unico animale che sa di vivere nel tempo, il film tratta di questa consapevolezza” (Roger Ebert). 

“Una storia vera” e la critica

Tornato nelle sale con grande successo, Una storia vera di David Lynch rappresenta uno dei titoli più atipici – e al contempo intimamente lynchani – della sua carriera. Ripercorriamo le reazioni critiche in questa breve antologia. Come scriveva Vincenzo Buccheri: “Lynch sceglie la vecchiaia al posto della gioventù, la lentezza invece della velocità, il progetto al posto della deriva. Sotto l’apparente dolcezza, The Straight Story è un film sulle cose per cui vale la pena di vivere”.

 

Caméra-car-stylo. La libertà stilistica di “Caro diario”

Nuova carrellata antologica di scritti su (e di) Nanni Moretti in occasione dell’uscita del restauro 4k di Caro diario. Come scrive Morando Morandini: “Chi, se non l’Antonioni di L’avventura – ma è solo un esempio – ha avuto un occhio così, a dimostrazione che la fotografia non è soltanto tecnica di riproduzione della natura, ma visione e interpretazione del mondo? Nella sostanza, però, Caro diario non è narcisista. Moretti rischia di trovarsi addosso l’etichetta dell’autobiografismo che fu attaccata a Fellini. La morte di Pasolini è un vuoto che tocca molti di noi, una bella minoranza. Quel che racconta o inventa corrisponde alla realtà”.

Il colore delle margheritine

Chi vede Daisies – Le margheritine, nello splendido restauro digitale 4K (sostenuto dal Festival Internazionale del Cinema di Karlovy Vary, in collaborazione con il Národní filmový archiv di Praga, il Czech Film Fund, UPP e Soundsquare, a partire dai negativi immagine e suono originali e dai nastri magnetici originali di missaggio) nota subito l’incredibile uso creativo del colore. Scopriamo di più grazie a questo doppio approfondimento.

“Daisies – Le margheritine” secondo la regista e la critica

“Non si tratta di un affresco psicologico né realista nel senso tradizionale dei termini. È piuttosto l’immagine di un certo modo di capire e di vivere la propria vita attraverso la storia volutamente esagerata di queste due ragazze che, per così dire, non sono se stesse. In quanto esseri umani, non sono disposte ad accettare, dare e creare la loro vita e il loro mondo, e quindi la vita ed il mondo degli altri. Vivono da parassiti, e non solo nei riguardi dei loro simili, ma anche, ed è essenziale, nei riguardi di se stesse” (Vera Chytilova).

“Él” nella storia della critica

In occasione della distribuzione di “Él” restaurato, ecco un viaggio nella critica e nell’analisi del film, con tante firme importanti che se ne sono occupate: “Si ritrova in Él la stessa obiettività documentaria esacerbata che era all’inizio del film Las Hurdes. Buñuel ama dire che egli si è interessato a Francisco con la curiosità con cui avrebbe osservato il comportamento di un topo. Dice anche che ha gusti da entomologo e che osserva il suo personaggio come un insetto” (André Bazin). 

“Él” ritratto di un paranoico. Nascita di un capolavoro

In occasione della distribuzione di “Él” restaurato, ecco alcune dichiarazioni di Luis Buñuel e alcune fonti critiche dedicate alla storia della pellicola. Secondo l’autore “Él è uno dei miei film preferiti. A dire il vero non ha niente di messicano. L’azione potrebbe svolgersi in qualsiasi posto, dato che presenta il ritratto di un paranoico”. Secondo Farassino, “un saggio di entomologia umana”, tra i picchi del periodo messicano. 

“I guerrieri della notte” nell’inferno della città

Breve viaggio intorno alle fonti secondarie dedicate al capolavoro di Walter Hill, che ci spiegano perché ancora oggi I guerrieri della notte sia considerato un cult impareggiabile. Come ha scritto Pauline Kael: “The Warriors ha un’intensità magnetica. Si svolge dalla notte all’alba, e gran parte dell’azione ha i colori vivaci e brillanti dei pennarelli fluorescenti sullo sfondo dello spaventoso buio newyorkese; le figure si stagliano come un juke-box in un bar scuro. Per tutta la sua durata, questo film barocco possiede una brillantezza psichedelica, che sboccia nella notte”.

“Sciuscià” e la genesi del film

“Erano i giorni che sapete e ne avevo già visto abbastanza per sentirmi profondamente turbato, sconvolto; le donne che andavano in camionetta con i soldati, gli uomini e i ragazzini che si buttavano in terra per afferrare le sigarette o le caramelle. Agli adulti pensavo meno che ai bambini; e pensavo: ‘Adesso sì che i bambini ci guardano!’. Erano loro a darmi il senso, la misura della distruzione morale del paese: gli sciuscià” (Vittorio De Sica”). 

“Sciuscià” e la critica

Il ritorno in sala di Sciuscià, all’interno del progetto Cinema Ritrovato al Cinema, permette di guardare con occhi nuovi al capolavoro neorealista di Vittorio De Sica. Ci accompagnano nella riscoperta alcune fonti critiche (sia d’epoca sia della cinefilia moderna) decisamente suggestive. Come scriveva Dino Risi: “Sciuscià è un film italiano, italiano come la nostra miseria, come il nostro sole a lutto, come il nostro amore ferito”.