Cento anni Fa, la rassegna dedicata al cinema muto del 1914, ha presentato un film davvero interessante, In the Land of the Head Hunters regia di Edward S. Curtis, fotografo americano, interessato al mondo dei nativi americani. Prima dell’arrivo degli europei sulla costa pacifica, la tribù dei Kwakwa̱ka̱’wakw abitavano indisturbati nella Columbia Britannica. I propositi di Curtis si aprono di fatto la strada a opere fondamentali per il cinema come Finis Terræ di Epstein (1929), Man of Aran di Robert Flaherty (1934) o, ancora, La terra trema di Visconti (1948). Purtroppo un accostamento con questi titoli è oltremodo impossibile e il film ha deluso molti degli spettatori presenti. Premessa doverosa, il film è mutilo e il restauro presentato dalla Milestone ha comportato un lavoro eccezionale e ben curato, a che presenta comunque degli aspetti negativi. I materiali conservati, purtroppo, non erano di qualità eccelsa, ma di fronte a un documento di questo tipo potrebbe sembrare il minimo. L’accompagnamento musicale era ripetitivo e poco originale e tendeva ad avere dei lievi e inspiegabili salti. Ma il pubblico si è diviso soprattutto sulla scelta di sopperire alle scene mancanti con fotografie di scena e le didascalie che raccontano quanto accaduto in precedenza. Questa è comunque una vecchia diatriba tra appassionati, che vede opposti chi desidera conoscere il più possibile della pellicola, e chi preferisce evitare pause di questo tipo e affidarsi totalmente alle scene girate, lasciandosi travolgere dalle emozioni che esse suscitano. Le didascalie, va detto, sono originali e sono molto interessanti. Gli indiani Kwakwa̱ka̱’wakw cercano di far entrare nel loro mondo il regista Edward Curtis e lo spettatore; sfortunatamente ci riescono solo in parte. Le leggende e i riti di questo popolo ci scivolano tra le mani ma non riusciamo ad afferrarle pienamente, e il film finisce per risultare incompatibile con la nostra cultura e il nostro modo attuale di intendere il cinema. Nonostante alcuni lati negativi, In the Land of the Head Hunters è una pellicola di estrema importanza storica, perché è lo specchio di una cultura andata perduta, anche e soprattutto per colpa della nostra cultura occidentale,. Proprio per questo il film andrebbe studiato a scuola e compreso meglio attraverso la storia degli indiani d’America. Avendo bene in mente la storia americana è difficile non provare una stretta al cuore al pensiero di quanto abbiamo perduto a livello culturale e quanto poteva essere fatto, vista la volontà da parte di una tribù di nativi di adattare il proprio modo di vivere alla tecnologia. Parrebbe quasi che i Kwakwa̱ka̱’wakw percepiscano un futuro a loro avverso e che abbiamo voluto lasciare, con questo film, un testamento all’umanità, una loro testimonianza che avrebbe raggiunto spettatori anche a distanza di un secolo.

Yann Esvan