Lo studio di una cultura diversa dalla propria attraverso l’osservazione di uno suo specifico prodotto, riflesso dei mutamenti storici e sociali di cui si fa espressione più o meno volontaria, è la base dei cultural studies novecenteschi, ma è possibile rintracciare il medesimo approccio anche in più antiche discipline come l’etnomusicologia. La scienza che compara diverse etnie attraverso il linguaggio pressoché universale della musica, può essere considerata la prima forma di confronto culturale contemporaneo, che pone allo stesso livello osservante e osservato, i cui relativi patrimoni cognitivi diventano il punto di partenza per un processo di pacifica scoperta reciproca.

È attorno a questo presupposto che ruota il lavoro di Louis Sarno, musicologo statunitense impegnato da trent’anni in un’indagine su campo tra i pigmei Bayaka della Repubblica Centroafricana, comunità di cui lui stesso è divenuto membro abbracciandone lingua, tradizioni e costumi. Allontanandosi dall’asettico distacco marcato da incisioni ad hoc, Sarno ha svolto il suo studio seminale attraverso centinaia di registrazioni in presa diretta di musica e suoni ambientali, venendo così a dare voce a una specifica cultura inserita nel contesto da cui è scaturita, fattore essenziale per comprendere un dato insieme di saperi.

Prendendo il via dall’autobiografia Song From the Forest, l’omonimo documentario di Michael Obert (presentato al Lumière) rende omaggio allo studioso ripercorrendo a ritroso il suo viaggio interiore e spirituale, espressione di una ricercata riconciliazione con la natura e dell’idealizzata fuga da un presente caotico e straniante. Sarno si confessa alla macchina da presa tra aneddoti, ricordi e descrizioni, guidando lo spettatore nel suo personale Eden, non a tutti accessibile lontano com’è dall’idilliaco immaginario esotico occidentale, come il protagonista cerca di spiegare al fratello durante un breve soggiorno in America per mostrare il Paese al figlio bayaka.

Il confronto culturale cui il padre sottopone il piccolo si presenta qui con brutale forza, in uno sfrontato materialismo di cui il bambino non riesce a comprendere il significato né l’utilità. Come Il ragazzo selvaggio di François Truffaut, Samedi è un pesce fuor d’acqua, animale in gabbia che può vivere solo dei ricordi filtrati dalle registrazioni paterne sovrapposte nel film alle immagini di una smarrente New York, espressione di quel contrasto già rilevato da Levi-Strauss che torna qui più che mai attuale.

 

Lapo Gresleri – Associazione Culturale Leitmovie