Tre forze dominano il Giappone nel 1187. La corte imperiale dirige la nazione, i samurai sgomitano in attesa del loro riconoscimento e i monaci buddhisti hanno imbracciato le armi per la difesa dei propri monasteri. Questi tre poteri si scontrano continuamente in un Paese devastato dalla profonda crisi storica di quel periodo. Kiyomori, figlio di Tadamori appartiene al clan dei Taira, anche conosciuti come Heike, una famiglia di samurai molto potente dell’epoca. Il film storico di Mizoguchi rapidamente vira verso il melodramma, quando si sparge la voce che la madre di Kiyomori sia in realtà la Dama di Gion, famosa concubina dell’Imperatore. Il protagonista apprende che il suo vero padre potrebbe non essere Tadamori, ma l’Imperatore o un monaco buddhista e che quindi potrebbe essere figlio di una delle tre parti in gioco nella lotta per il potere.

Shin Heike monogatari è uno degli ultimi film di Mizoguchi, tratto dal libro di Yoshikawa Eiji e prodotto dalla Daiei. Il regista si concentra solo sulla prima parte dell’opera letteraria, soffermandosi sulla narrazione storica, ma anche sulla ricerca della propria identità da parte di Kiyomori. Un film inusuale per Mizoguchi per due fattori principali: il colore e la presenza di un protagonista maschile.

Per Mizoguchi il 1955 è stato l’anno dei colori, prima nel film Yōkihi (L’imperatrice Yang Kwei-fei) e successivamente in Shin Heike monogatari (Nuova storia del clan Taira). Il regista non ha mai mostrato troppo interesse per la realizzazione di film a colori, infatti questi due lavori sono le uniche eccezioni. Ogni colore ha un forte potere simbolico e viene associato alle varie figure presenti nella narrazione, ma spesso i toni pastello si confondo tra di loro, perdendo la propria identità. Brilla di luce propria invece il rosso, tratto distintivo di quest’opera, che si declina in tutte le sue sfumature, dal caldo dell’arancione al rosa pallido. Colore dell’ira, ma anche del Giappone, il rosso è dosato sapientemente in ogni scena, mettendo in risalto la profondità di campo tipica del regista e sottolineando i vari momenti narrativi del film.

A questo colore è associata anche la componente femminile, come a ricordare allo spettatore la sua importanza. La Dama di Gion è una figura solo apparentemente defilata, ma dalla quale dipendono le azioni del protagonista, una donna di straordinaria indipendenza, ma anche capricciosa e volubile. Questa marginalità della figura femminile rimanda immediatamente al più famoso film storico di Mizoguchi, Genroku chushingura (La vendetta dei quarantasette ronin), in cui le donne, seppur quasi invisibili, assumo un ruolo di catalizzatore delle azioni. E se i protagonisti maschili nell’opera del 1941 dominano l’intera narrazione, in Shin Heike monogatari il regista stupisce particolarmente per la rappresentazione di Kiyomori, che ha forza d’animo, volontà e capacità d’azione, qualità inusuali rispetto agli altri uomini descritti nei lavori precedenti.

Il penultimo film del regista, a differenza del successivo Akasen chitai (La strada della vergogna), ha una forte spinta verso la sperimentazione. Mizoguchi abbandona il piano sequenza in favore di campi e controcampi sottolineati dal montaggio evidente. Tuttavia non abbandona il piacere per la composizione della scena, le linee verticali e la simmetria del racconto. Un film in piena sintonia con lo stile del regista giapponese, che si tinge di sfumature inedite.

Chiara Maraji Biasi