Anche quest’anno a giovanissimi aspiranti critici del futuro è stato richiesto di raccontare alcuni film del festival: “Au hasard Balthazar è un film del 1966 diretto dal regista francese Robert Bresson. Progetto al quale Bresson ha lavorato per quasi quindici anni, Au hasard Balthazar  ha avuto una storia molto travagliata, con quasi tutti i produttori francesi dell’epoca che lo hanno rifiutato, per poi diventare, alla sua uscita nelle sale, uno dei film più osannati dalla critica.

Mi risulta molto difficile abbozzare la trama di quest’opera poiché ogni scena di questo film non è altro che un mezzo per trasmettere un messaggio al pubblico. In breve, in un paesino sui Pirenei al confine tra Francia e Spagna vediamo rappresentati, attraverso gli occhi dell’asino estremamente perspicace e intelligente Balthazar, tutti i vizi e le cattiverie degli uomini, decisi a distruggersi tra di loro. Ovviamente su Balthazar si riverserà lo sfogo di tutto questo odio e sarà sempre lui a subire quello che, in verità, meritava qualcun altro. L’unico umano che sembra volergli un po’ di bene e non sembra deciso ad ucciderlo in tutti i modi immaginabili è la giovane Marie, ma il destino è in agguato per entrambi.

Sebbene non nego che questo film sia un capolavoro del cinema mondiale ho trovato molto difficile capire appieno il suo messaggio e tutti i suoi riferimenti e ammetto, prima di scrivere questa recensione, di essermi documentato sul pensiero del regista e il vero senso di questo film. Come in quasi tutte le opere di Bresson, anche questa è assai minimalista sia nelle scenografie, che nelle riprese (che quasi sempre inquadrano, secondo la figura retorica della sineddoche, soltanto una parte del corpo o un dettaglio di colui che esegue o subisce l’azione), che nella recitazione.

Infatti tutti gli attori recitano con straniamento, senza mai tradire la minima emozione e sempre con gli occhi persi nel vuoto, come se il regista volesse farci capire che quella che stiamo guardando non è vita vera ma è solo finzione: un neorealismo che non è realistico. I personaggi sono tutti ugualmente imperfetti e rappresentano ciascuno un vizio pertinente dell’animo umano e alla fine, mi verrebbe da dire ovviamente, soltanto i più spregiudicati e crudeli se la caveranno, quasi una conferma alla perdita di fiducia del regista nell’umanità. Un film questo che vede nell’intrattenimento l’ultimo dei suoi propositi e si colloca quindi come vera opera d’arte. Un film, dunque, che non fa assolutamente per tutti, anche se so di non averne reso giustizia appieno con questa critica, ma se vi ritenete proprio cinefili e ne sapete abbastanza di filosofia e della Bibbia, questa potrebbe essere l’opera definitiva della vostra vita.

 

Pietro Luca Cassarino