In occasione dell’ultimo atto della rassegna Integrale Pasolini Parte V: Il Cristo degli ultimi, la Cineteca di Bologna ospiterà Cecilia Mangini la quale introdurrà la proiezione di alcuni dei suoi splendidi documentari. Si comincerà con Ignoti alla città, liberamente ispirato al romanzo di Pier Paolo Pasolini Ragazzi di Vita. Oltre a questa ispirazione, il poeta di Casarsa intervenne in prima persona nell’opera: Cecilia Mangini telefonò a Pasolini chiedendo la sua collaborazione. Il commento sonoro al film nasce dalla sua penna e sarà aggiunto solamente a riprese concluse. Questo testo, che sarà pubblicato come poesia ne La Religione del mio tempo, non ha la men che minima pretesa di essere didascalico, ma la funzione di accompagnare ed esaltare la forza dell’immagine, scopo che la cineasta perseguirà fino ad arrivare a realizzare documentari nei quali la parola scomparirà lasciando campo al solo commento musicale.
Seguirà La canta delle marane, che dipinge ancora le vicende dei ragazzi delle borgate romane i quali, in una torrida estate, trovano refrigerio nella Marana, affluente del Tevere. Sulle rive di questo fiume ci saranno momenti giocosi e litigi ai quali Pasolini donò queste parole: “Facevamo tutto quello che nun dovevamo fà. Ci avevamo proprio la passione da fà disperà er mondo. Ah, che soddisfazione sentisse dì: ‘Lì er bagno nun lo dovete fà’, e invece noi no, invece de uno se ne facevamo cento. Alla faccia de tutti! Nun ci arreggeva nemmeno er diavolo! Per noi la marana era come il Mississipì”.
Poi Stendalì, suonano ancora, nuovamente con un testo di Pasolini, che la regista pensò dopo aver letto Morte e pianto rituale, opera di Ernesto De Martino dal quale rimase folgorata. Il documentario ripropone l’antico rito dei canti funebri salentini, simili a lamenti: “Qualcuno è morto. Lo annuncia il suono delle campane: le vicine di casa vengono a consolare le madri, le spose o le sorelle e a piangere con loro. È la visita funebre”.
Per finire sarà proiettato il documentario Divino amore che si credeva perduto. Pur essendo stato premiato al Festival dei Popoli nel 1962, non aveva ottenuto il premio di qualità, “il sistema per condannare a morte qualsiasi opera cinematografica senza lo scandalo di proibirla in sede di censura”– racconta Cecilia Mangini. “La condanna era irreversibile perché questo significava anche non conservarne una copia presso la Cineteca nazionale. E per essere certi che scomparisse per sempre il produttore Patara ne ha smembrato il negativo per utilizzarlo in un altro film di montaggio. Contro ogni logica previsione, il documentario è sopravvissuto, nascosto chissà come, nelle teche della Rai e oggi finalmente torna a vivere in sala. E non si può pensare che, visto l’argomento trattato – i pellegrinaggi presso il santuario del Divino amore – non si tratti di un miracolo, lo stesso miracolo che Cabiria, nel film di Fellini, sognava di veder realizzato”.
Una serata da non perdere, sia perché sta volgendo a termine il ricco e lungo omaggio che la città di Bologna ha voluto operare nei confronti di Pier Paolo Pasolini, ma anche e soprattutto perché si celebra il sodalizio con un’artista militante la cui opera meriterebbe certamente maggior diffusione e fama di quella che ha. Le opere di Cecilia Mangini (similmente a quelle di Pasolini) conferiscono poeticità ai ragazzi delle borgate, alle minoranze e alle realtà locali e dialettali come patrimonio da salvaguardare.
Stefano Careddu