Anche quando entrano nell’ultima fase della loro vita, ci sembra che i maestri possano non andarsene mai. Il cinema è una passione che garantisce longevità agli autori, in molti casi, e dunque gli 84 anni di Ettore Scola ci paiono troppo pochi per lasciarlo andare. In compenso, da ora in poi la sua filmografia parlerà per lui. E oggi, aprendo le prime pagine di tutti i giornali del mondo, ci siamo accorti ancora una volta che la storia del nostro cinema è universale, cosmopolita e internazionale. Tutti conoscevano Scola. Tutti hanno imparato qualcosa dell’Italia da Scola. E noi, abbiamo imparato a conoscerci attraverso i suoi film? Sicuramente sì. Per ricordare il grande regista scomparso, Cinefilia Ritrovata ha scelto di pescare alcuni dei commenti più belli usciti a caldo in queste ore. Ritorneremo presto su Ettore con approfondimenti più critici. Ora abbiamo solamente voglia di ricordarlo così.
“Se andavi a casa sua, la prima cosa che colpiva erano gli scaffali dietro la sua scrivania: dentro c’era quasi tutta la collezione della vecchia Bur, quella tascabile, con le copertine grigie. «Mi manca solo qualche volume – mi aveva confessato – non molti». Letti tutti, avevo chiesto? E lui mi aveva guardato con il suo sorriso un po’ sarcastico: «Quasi» aveva risposto. Non li aveva letti tutti, ma molti sì, perché la sua generazione aveva cercato proprio nella lettura – nella cultura – la fonte principale d’ispirazione. L’aveva raccontato con un sorriso bonario in C’eravamo tanto amati, dove l’illetterata Giovanna Ralli cercava di farsi coi libri quelle cultura che il marito Gassman aveva da tempo. L’aveva poi raccontata ancora nel personaggio di Mastroianni di Una giornata particolare (uno speaker dell’Eiar) e naturalmente nei personaggi di Trintignant e Reggiani di La terrazza. Per Scola non esisteva solo il cinema, prima venivano i libri e la capacità che offrivano di capire il mondo che ci circondava. Di cui Scola non aveva «cancellato» mai neanche un’altra cosa: il suo impegno politico che l’aveva portato a militare con convinzione nelle file del Pci. Neanche negli ultimissimi tempi aveva rinnegato quell’impegno: la politica per Scola era una cosa bella, di cui non vergognarsi. Ne conosceva gli errori (li aveva raccontati con grande lungimiranza col personaggio di Gassman in La terrazza) ma anche i meriti e le fatiche. Gli sembravano valori da difendere, i libri e la tessera, e l’ha fatto fino alla fine”.
(Paolo Mereghetti, Il Corriere della Sera)
“Maestro di un cinema ricercato e popolare, basato sulla forza di sceneggiature a lungo cesellate, prima insieme a Ruggero Maccari, e poi con Age e Scarpelli, Scola ha colto, nei suoi film più celebri, gli snodi fondamentali della storia del nostro Paese. Basta pensare al capolavoro C’eravamo tanto amati, del ‘74, a Brutti, sporchi e cattivi, alla Terrazza, a Una giornata particolare. Affreschi che spaziano tra il pubblico e il privato, raccontando la nostra evoluzione insieme a quella, più generale, del Paese, le contraddizioni tipicamente italiane, i vizi, le manie, le grandezze e le meschinità. Amato dagli attori, che amava a sua volta moltissimo, e che valorizzava dandogli, in tanti casi, le migliori occasioni delle loro carriere professionali, Scola è diventato presto regista europeo, e non solo italiano, adorato dai francesi, premiato ovunque. Gli incontri cruciali erano stati quelli con Marcello Mastroianni, nel ‘70, per Dramma della gelosia, con Nino Manfredi per Brutti, sporchi e cattivi, con Sofia Loren per Una giornata particolare. Alla galleria si aggiunse, nell’89, Massimo Troisi, l’attore napoletano di cui Scola capì subito le immense possibilità artistiche tanto da decidere di dirigerlo in due film Che ora è e Splendor. Gli scontri e le differenze generazionali vennero descritti nella Cena dove, a ogni tavolo, corrispondevano storie di personaggi di diverse età, mentre con Gente di Roma, l’autore offriva il ritratto malinconico di una città ormai difficile da decifrare”.
(Fulvia Caprara, “La Stampa”)
“Scola è uno di quei registi che rispetto al timing storico della commedia all’italiana inizia relativamente tardi ad affermarsi a livello mondiale. La sua cinematografia tocca l’apice di successo e di pubblico tra la metà e la fine degli anni settanta con C’eravamo tanto amati (1974) e Una giornata particolare (1977). Non ha mai avuto fretta il ragazzotto irpino che aveva iniziato a collaborare al Marc’Aurelio fiancheggiando Fellini e Steno, incontrando Age & Scarpelli, che saranno suoi inseparabili amici e sceneggiatori, come pure quel Ruggero Maccari, anche lui al lavoro nel cinema di Scola a far pendere la bilancia verso quel pubblico medio, mescolando “fantasia, ironia, osservazione di costume e calibratura degli effetti comici”. Un ‘team’ si direbbe oggi con al centro sempre l’intuizione generale e la supervisione progettuale di Scola. Film che correvano naturalmente a confrontarsi con l’esperienza traumatica della seconda guerra mondiale per mostrarne strascichi insanabili eideali intonsi nonostante la quotidianità corrotta dei decenni a venire. Basta guardare la parabola dei tre partigiani (Gassman, Manfredi e Stefano Satta Flores) in C’eravamo tanto amati: quel dimenarsi etico tra idealità e immoralità trent’anni dopo il ’45, che oltretutto sbancò il box office italiano con quasi 4 miliardi dell’epoca. Dedicato a Vittorio De Sica e al neorealismo che con la sua “scuola” innervò scrittura e regia della commedia popolare dei Sordi, Gassman, Manfredi, Sandrelli, Vitti e Cardinale,C’eravamo tanto amati fa il paio con Una giornata particolare. Forse molti lettori hanno imparato a piegare le lenzuola insieme al partner dopo aver visto la sequenza del terrazzo. Altri quella sequenza con Mastroianni e la Loren non l’hanno più dimenticata. Infatti lassù tra le lenzuola stese, con l’eco dei canti nazifascisti a invadere subdolamente l’udito di attori e spettatori si consuma il fugace avvicinamento e rapido addio di due anime inquete, emarginate e candide, impossibilitate e vivere l’affetto naturale e inqualificabile l’uno per l’altro”.
(Davide Turrini, Il Fatto Quotidiano)
“What is most striking about Scola’s oeuvre, however, is his gift for compression. Restricting his observations deliberately to confined areas (for example, the coaches in La Nuit de Varennes , the microcosmic dance hall in Le Bal , the family domicile that survives decades of unrest in The Family ), Scola forces his encaged protagonists to reveal the inner turmoil that informs their societal stances. Nowhere is this economy more apparent than in Una giornata particolare , which demonstrates oppression in a super-organized society that devalues individuality. Moving deeper and deeper inside the confined setting, a fluid camera concentrates on the facade and interior of a workers’ dwelling on 6 May 1938, when Mussolini welcomes Hitler to Rome. As the radio blares Il Duce’s doctrinaire self-confidence, two trapped members of this society—a domestically repressed housewife and an anti-fascist homosexual—meet by chance and share their humanity for a few hours. Whereas in The Family , the family unit struggles to withstand the winds of war and upheaval, in the stylish Le Bal , the decades-shifting dancers merely reflect the changes transpiring outside their social cocoon. Telescoping the French Revolution inside a few coaches, without portraying starving hordes or the king trying to escape the rabble’s wrath, Scola’s La Nuit de Varennes forces the opportunity for rumination upon an upper class facing a climate hostile to them. In a masterfully compact fashion, Scola continues to examine the past in order to interpret the present. Particularly in The Family , Scola avoids the epic sweep of traditional political cavalcades in favor of an intimate revisionism of history. In all Scola’s films, the choreography of history steps in partnership with his simpatico actors, gliding camerawork, and updated neorealistic melancholy. Even taking his overcooked Hollywood debut, Macaroni , into consideration, and the failure of his last films to secure American releases, Scola’s place in humanist film history is unassailable. Unlike many screenwriters who turn director to ensure an unedited venue for their glorious dialogue, when Scola has something to say he lets his mise-en-scene do the talking. His manner of working liberates film stars from their confining personas and challenges moviegoers to experience the ambiguous passions of his characters. As in that embryonic Fatal Attraction for the nineteenth century, Passione d’Amore (newly minted as a Sondheim musical, Passion ), Scola’s relentless pursuit of beauty is an all-consuming mission, one that makes this filmmaker sympathetic with misfits like Fosca, whose emotional deprivation in Passione d’Amore is not categorized as a negative, but as an occasion for greater sensitivity. Scola revisits the impersonal past to give it a human face”.
(Lillian Schiff, Film Reference)
“On ne sait pas encore si 2016 restera l’année de l’hécatombe des artistes, mais la mort du dernier géant de la comédie à l’italienne fiche un bon coup de nostalgie et ravive des souvenirs, d’images ou de séquences : Bernard Blier et Alberto Sordi en goguette africaine dans Nos héros réussiront-ils à retrouver leur héros mystérieusement disparu en Afrique ? – titre génial ; le linge qui sèche sur les toits de Rome en sépia ; Vittorio Gassman l’arriviste que ses amis croient pauvre dansNous nous sommes tant aimés ; Ugo Tognazzi imitant le standard des taxis-radios, bien avant Uber, dans La Terrasse. Ou la séquence d’ouverture du Fouineur (je préfère le titre original, Il commissario Pepe) : dans une petite ville d’Italie, une voiture de police file à toute blinde, sirène tonitruante, brûlant tous les feux rouges, prenant les sens uniques, manquant d’écraser les piétons. Elle pile devant le commissariat. Ouf, on arrive à temps : dans son étui en carton, la pizza qu’on apporte au commissaire est encore chaude. Buon appetito!”.
(Aurélien Ferenczi, Telérama)