Tra le molte ed eclettiche passioni che hanno animato l’ironico, coltissimo e unico Claudio G. Fava, scomparso nelle ore scorse, vi era sicuramente il cinema francese. Non solo e non tutto il cinema francese, ma in particolare quello “entre deux guerres” e quello degli anni Cinquanta. Proprio per questo, evitando un “coccodrillo” istituzionale che non racconterebbe abbastanza bene l’amicizia tra Claudio e la Cineteca di Bologna, Cinefilia Ritrovata pubblica il recente saggio che il critico genovese scrisse per il libretto del DVD La verità su Bébé Donge, un distillato della sua erudizione e della sua grazia letteraria. E, in fondo, una lettera d’amore alla letteratura di Simenon: un critico di cinema non è mai solo un critico di film. Segue.
Ci sono tanti modi di essere simenoniani a questo mondo. Forse tanti quanti sono i fedeli lettori di Simenon che esistono e che lo leggono ancora adesso, nell’originale o tradotto in tantissime lingue diverse.
C’è evidentemente un modo ufficiale, burocratico, quasi ministeriale, che si riassume in una autorevole vocazione accademica, ad esempio quello dell’Università di Liegi ove esiste un Centre d’études Georges Simenon. Fra l’altro amministra i cosiddetti Fonds Simenon (costituiti da tutti i materiali, i testi, gli originali, eccetera, che lo scrittore ha lasciato in donazione all’Università della sua città natale), raccoglie e cataloga tesi universitarie su Simenon e pubblica una rivista specializzata, che si chiama Traces (1). C’è quello, sicuramente meno ufficiale ma pieno di devozione, degli innumerevoli collezionisti di materiale simenoniano esistenti in tutto il mondo, che esplicano la loro passione in modi diversi: pubblicano libri, organizzano mostre e manifestazioni, allestiscono siti web dedicati allo scrittore. Mi limiterò (senza nessuna intenzione di esaurire il tema) a citare tre di questi straordinari personaggi: per combinazione sono tutti e tre liguri (2).
Infine vi sono, come dire, i simenoniani comuni, quelli che leggono i suoi libri e vedono i film e le serie televisive (3) tratte da essi. Evidentemente c’è differenza fra quelli che leggono i libri e poi in funzione di essi vedono i film e i seriali (si tratta ovviamente di una minoranza) e coloro, ovviamente la maggioranza, che conoscono bene o vagamente i libri ma vedono comunque film e prodotti televisivi. In funzione di una generica simpatia che spesso si limita alla figura di Maigret (son pochi, in proporzione, quelli che si sono avventurati nella giungla rigogliosa dei libri ‘non maigrettiani’ di Simenon).
Per riorientare la memoria tra i film tratti da Simenon, ho fatto ricorso all’elenco stilato da Marco Biggio e Andrea Derchi, e che Biggio ha avuto la cortesia di inviarmi. (Nel loro libro ne hanno inclusi solo 42, cioè quelli doppiati da noi, coerentemente con la loro ricerca che si intitola appunto Simenon in Italia). Per scrupolo va precisato che i 58 film del loro elenco superano addirittura di due la “Georges Simenon-Filmographie”, a cura di Claude Gauteur, contenuta all’interno della voce globale della biblioteca di Liegi da me ricordata. Infatti l’elenco di Gauteur si arresta all’anno 2004, mentre quello di Biggio e Derchi giunge sino al 2007; occorre inoltre ricordare che Arturo Invernici ha finemente setacciato la filmografia simenoniana nel suo elenco stilato per il catalogo del Bergamo Film Meeting 2003, dove ha incluso anche alcuni titoli di cinematografie non occidentali, più o meno liberamente ispirati a opere dello scrittore belga.

Un tentativo di esame globale dei film tratti da scritti di Georges Simenon implica, ovviamente, una prima divisione fra quelli che hanno ‘tradotto’ il personaggio di Maigret e quelli che si sono ispirati a qualcuno degli innumerevoli motivi evocati negli altri libri del romanziere.
Per venire a questa seconda categoria (certamente la più numerosa e forse la più importante) vediamo che essa inizia nel 1941 con Annette et la dame blonde di Jean Dréville e termina, per quanto mi consta, con la versione franco-tedesca-ungherese, del 2007, a cura di Béla Tarr e Agnes Hranitzky, de L’uomo di Londra. Il considerevole spazio di 66 anni implica pertanto infinite sfumature di curiosità produttive, di interessi narrativi e divistici, di differenti capacità di sceneggiatura, di intricate scadenze nazionali e internazionali, spesso contraddittorie. Ma in ogni caso mi sembra ragionevole osservare che molto spesso il cinema ha saputo cogliere l’estrema intensità di analisi e di narrazione che muove la prosa simenoniana.
Seguendo il giro degli anni ci imbattiamo in molte occasioni ed, ovviamente, in molti risultati diversi fra loro e spesso non confrontabili. Se nel 1941 Annette et la dame blonde di Henri Decoin fornisce al pubblico della Francia occupata una sorta di surrogato delle commedie americane ormai non più vedibili, ecco che nello stesso anno Gioventù traviata (titolo nostrano di Les Inconnus dans la maison), ancora di Decoin, consente al grande talento mimetico di Raimu di adattare, forse indirettamente, il fervido verismo di Simenon alle esigenze politiche del momento. Infatti l’avvocato ubriacone Hector Loursat ritrova la lucidità per difendere la figlia e i suoi amici, fra cui c’è un omicida, deplorando il cinismo in cui sono ignorati i legittimi desideri dei giovani. Nella città in cui essi vivono non c’è né uno stadio né un velodromo né una piscina ma in compenso 132 fra caffè e bistrots (“li ho contati”, dice l’avvocato) e quattro bordelli.
Nel 1942 ritroviamo in Monsieur La Souris il grande Raimu diventare da clochard investigatore volontario e scoprire un assassino. Ancora nel 1942 I viaggiatori d’Ognissanti (Le Voyager de la Toussaint, di Louis Daquin) ripropone il classico tema simenoniano della “voracità e crudeltà dei notabili di provincia che non esitano a uccidere per mascherare le loro cattive azioni e conservare i loro privilegi” (Jean Tulard), riproposto strizzando anche l’occhio al tema ‘petainista’ della difesa della parte buona delle famiglie. Sempre il cinema della Francia occupata ci propone con L’Homme de Londres, ancora dell’attivissimo Decoin, un personaggio centrale schiavo di una rigida consapevolezza dei suoi doveri morali (figura meno rara di quel che si crede nell’immenso concerto dei personaggi simenoniani). A guerra finalmente terminata uno dei grandi del passato, Julien Duvivier, affronta con Panico (Panique, tratto da Les Fiançailles de M. Hire) un tema caro a Simenon, quello della solitudine e dell’incomprensione. E lo rende esplosivo grazie all’interpretazione di Michel Simon, come sempre prodigioso.
Nel decennio dal 1951 al 1960 si rinvengono molti film: nel 1951 La follia di Roberta Donge (è l’inappropriato titolo italiano del film con cui si inagura la nostra collana Dvd) con Danielle Darrieux e Jean Gabin, e poi altri di produzione americana: ad esempio Il fondo della bottiglia (The Bottom of the Bottle, 1955), di Henry Hathaway, o I fratelli Rico (The Brothers Rico, 1957), di Phil Karlson. Inoltre La ragazza del peccato (En cas de malheur, 1958) di Claude Autant-Lara, con una Brigitte Bardot che apparve allora esplosiva. Ed anche una eccellente traduzione di uno dei pochi libri ‘politici’ di Simenon, e cioè Il Presidente (Le President, 1960) di Henri Verneuil, con Jean Gabin che parafrasa splendidamente la possente figura di Georges Clemenceau.
Il decennio dal 1961 al 1970 vede, come sempre, molti Maigret (farò cenno a parte) e almeno due titoli da ricordare. Da un lato con Lo sciacallo (L’Ainé des Ferchaux, 1962) Jean-Pierre Melville si muove, come sempre, genialmente, seppure alle prese con un tessuto simenoniano che in fondo gli è estraneo. Dall’altro un grande dei tempi andati, Marcel Carné, rievoca con Tre camere a Manhattan (Trois Chambres à Manhattan, 1965), attraverso Annie Girardot e Maurice Ronet, un romanzo indubbiamente autobiografico. In cui Simenon recupera il bruciante incontro americano con Denyse Ouimet, la donna che diventerà la sua seconda moglie, la madre di tre dei suoi quattro figli e poi la sua più furibonda nemica.
Il decennio dal 1971 al 1980 conta diversi film francesi, che spesso catturano l’intensa capacità simenoniana di evocare motivi espliciti e nascosti dell’agire umano. Penso a tre titoli di un duttile regista ingiustamente dimenticato come Pierre Granier-Deferre. E cioè Le chat-L’implacabile uomo di Saint Germain (Le Chat, 1971), ove Jean Gabin e Simone Signoret impartiscono una grande lezione di recitazione francese all’antica; L’evaso (La Veuve Couderc, 1971), impregnato dal feroce realismo campagnolo di Simenon. E Noi due senza domani (Le Train, 1973), drammaticamente ambientato in quella Francia in piena guerra che Simenon conobbe in molti modi diversi. Infine, ancora del 1973, è doveroso ricordare L’orologiaio di Saint-Paul (L’Horloger de Saint-Paul, 1973), primo lungometraggio del geniale Bertrand Tavernier, nel quale si recupera il doloroso rapporto molto simenoniano fra un padre e un figlio.
Il decennio dal 1981 al 1990 non conta molti film ma vede allineati registi di diversa statura e di diverso cammino, dal Claude Chabrol di I fantasmi del cappellaio (Les Fantômes du chapelier, 1981) a, di nuovo, il Granier-Deferre di L’Etoile du Nord (1981-82). Sino a L’insolito caso di Monsieur Hire (Monsieur Hire) di Patrice Leconte, ancora tratto da Les Fiançailles de M. Hire che aveva già offerto nel 1946 una grande occasione narrativa a Michel Simon.
Il decennio dal 1991 al 2000 non vede molti film. Val comunque la pena di annotare il ritorno di Claude Chabrol con Betty (1992). Nel suo continuo cammino fra le tentazioni del thriller e le fascinazioni dell’approfondimento psicologico, egli arrischia qui, con Marie Trintignant e Stephane Audran, l’analisi di un complesso rapporto fra due amiche: ancora una volta il tessuto simenoniano offre stimoli e pretesti. Non a caso Chabrol è da molti considerato il regista francese poeticamente più vicino a Simenon. Nello stesso anno Georges Lautner, autore di qualche buon thriller, ricorre ancora al romanzo Les Inconnus dans la maison che nel 1941 aveva consentito a Decoin e Raimu quel piccolo gioiello di carattere di cui ho già parlato. Qui nell’originale il titolo viene posto al singolare (L’Inconnu dans la maison) e il personaggio dell’avvocato alcolizzato viene affidato a Jean-Paul Belmondo. Con una certa malignità Jean-Toulard dice che: “…tout est lourdeur et platitude dans cette pâle mise au goût du jour du roman de Simenon” e aggiunge che Belmondo evoca piuttosto un Jean Gabin invecchiato che un Raimu, il che “n’est pas forcément un bon choix”. Qualche altra breve citazione si può fare per film ben più recenti come La Californie (2006) di Jacques Fieschi o un ultimo omaggio franco-tedesco-ungherese di Béla Tarr e Agnes Hranitzky a L’Homme de Londres.

Concludo qui questo parziale ed evidentemente incompleto riassunto dei molti film tratti da Simenon. Nel complesso che cosa si può dire di una frequentazione antica e intensa, diversa come quantità secondo le epoche ma mai interrotta, ove si avverte la continua tentazione che l’immenso deposito romanzesco delle opere di Simenon ha esercitato sul cinema? È certamente notevole il ricorso alle infinite sollecitazioni rappresentate dai personaggi che Simenon ha via via evocato e descritto con quella immensa tenacia che anima tutta la sua opera. In compenso dire in che misura il cinema ha ‘tradito’ o conservato lo spirito originale che animava le vicende nell’infinite pagine accumulate dallo scrittore, non è facile. Ma non v’è dubbio che anche come semplice ‘fornitore’ di vicende per lo schermo, Simenon abbia esercitato un richiamo di indubbio spessore.
Naturalmente, come ho già preannunciato, ho incluso in questo successivo settore a parte tutti i film consacrati a Maigret, personaggio che esercita il più forte e il più immediato richiamo simenoniano per milioni di spettatori. Forse la maggior parte della fascinazione si è esplicata, più che nei film, nelle numerose versioni televisive delle avventure del Commissario, considerata la lunghezza e la continuità delle proiezioni seriali. Resta tuttavia il fatto che anche il cinema ha largamente attinto a Maigret: salvo mio errore di computo ben 14 volte (una delle quali in un film a episodi, Brelan d’as). Iniziando sin nel 1932 con Le Chien jaune (dal romanzo omonimo) di Jean Tarride e, soprattutto, con l’immediato ricorso a grandi nomi della recitazione: è il caso di Pierre Renoir, fratello del regista, in La notte dell’incrocio (La Nuit du carrefour, dal romanzo omonimo) di Jean Renoir, e di Harry Baur in Il delitto della villa (La Tête d’un homme, dal romanzo omonimo).
Durante la guerra ci sono ben tre tentativi di utilizzare l’allora popolare attore Albert Préjean per incarnare Maigret, ma i risultati non sembrarono eccezionali. A guerra finita mi sembra inevitabile citare uno dei diversi omaggi anglosassoni a Maigret e cioè L’uomo della Torre Eiffel (The Man on the Eiffel Tower, 1948), che in genere non piace ma che può vantare tre grandi nomi inattesi: come regista Burgess Meredith (attore raffinato che si è espresso per decine e decine di anni e che curiosamente ha dato un taglio particolare alla parte finale della sua carriera comparendo a fianco di Sylvester Stallone in quattro film della serie Rocky), come antagonista un altro americano di vaglia, Franchot Tone, e come protagonista il geniale inglese Charles Laughton.
Comunque sia credo che sin dagli inizi ogni lettore di Simenon si sia foggiata una personale immagine di Maigret secondo le sue impressioni, i suoi ricordi, i suoi desideri. Ma non v’è dubbio che il Maigret più ricordato al cinema sia quello impersonato da Jean Gabin nel 1957 con Il commissario Maigret (Maigret tend un piège), nel 1959 con Maigret e il caso Saint-Fiacre (Maigret et l’affaire Saint-Fiacre) e infine nel 1963 con Maigret e i gangsters (Maigret voit rouge, tratto da Maigret, Lognon et les gangsters). C’è forse in Gabin un involontario compiacimento, più atletico e divistico di quanto non vi sia nella figura più pacata di Maigret quale risulta dalle pagine di Simenon, ma non v’è dubbio che l’attore sia riuscito nell’impresa di consegnarci del Commissario un’immagine quasi definitiva. In questo senso mi sembra che il secondo dei tre film sia fondamentale per l’occhiata decisiva che getta sull’infanzia di Maigret e sull’ambiente nel quale egli è cresciuto e si è formato. La positiva impresa di Gabin forse non è riuscita a tutti nella stessa maniera. Anche se in certo senso lo eguaglia Michel Simon nella parte del Commissario in un film in tre episodi di Henri Verneuil del 1952, Brelan d’as (letteralmente: Tris d’assi), con interpretazione di cui tutti dicono meraviglie.
Evidentemente si aggiungono alla somma ma contano poco i diversi Maigret (non solo francesi) chiaramente mediocri. Va comunque ricordato che il personaggio del Commissario (dopo molti precedenti tentativi ‘incrociati’, per cui rinvio gli appassionati alla lettura del curatissimo Simenon et la vraie naissance de Maigret di Francis Lacassin, aggiornato nel 2003) appare ufficialmente nel 1931. Primo della lista è considerato un libro scritto nell’inverno del 1929 e pubblicato nel maggio di due anni dopo. Titolo originale Pietr le letton, in italiano diversi titoli fra cui Pietro il lettone e Maigret e il lettone. Il personaggio dura per più di quarant’anni, quando nel luglio del 1972 appare l’ultimo romanzo della serie, e cioè Maigret et monsieur Charles, in italiano Maigret e il signor Charles. In tutto Simenon dedicò a Maigret 75 romanzi e 28 racconti, che lo consacrano come uno dei più decisivi e famosi investigatori della fiction.
In ogni caso, riuscito o non riuscito che sia il trasferimento dalla pagina scritta all’immagine filmata, nel caso di Maigret e più generalmente in quello di tutti i film tratti da Simenon, resta il problema di fondo di cui ho già fatto cenno, e cioè l’immensità del geniale ‘magazzino di riserve’ romanzesche che anima tutta l’opera dello scrittore belga. E propriamente nel caso del Commissario la terribile difficoltà di tradurre in immagine la quieta fisicità con cui Maigret si installa, parola per parola, nell’animo e nell’abitazione di ognuno degli altri personaggi.

LA MIA FAMIGLIA MAIGRET

Per diverse volte in vita mia, e da diverse fonti, mi è stato chiesto di descrivere il mio rapporto con il mondo di Simenon o, se si vuole, la mia scoperta del mondo di Simenon. È stato un cammino non automatico all’inizio, ma che con il passare dei decenni si è rassodato sino a diventare una sorta di coscienza parallela. Possono passare mesi o addirittura anni prima che io riprenda in mano uno degli infiniti scritti dell’autore di Liegi, e tuttavia Simenon non è mai completamente assente dai miei sogni personali. Soprattutto non è assente Maigret, il quale resta nel mio universo di antico lettore di gialli, un frammento praticamente insuperato della mia personale pinacoteca di immagini legate al genere. Da tanto tempo io ho l’abitudine (scherzosa ma non totalmente scherzosa) di dire che “al cinema” (e quindi anche in televisione) “se non ci sono i poliziotti non mi diverto”.
Per me Maigret non fu il primo arrivato ma probabilmente è ormai il primo fra i geniali fantasmi che abbelliscono il mio personale immaginario. Va detto che inizialmente (erano gli ultimi due anni di guerra), sfollato in campagna grazie ad un amico più anziano, e sfollato anch’egli, scopersi tutti i grandi investigatori e poliziotti d’origine letteraria anglosassone (da Sherlock Holmes a Poirot via Philo Vance) che man mano ci introducevano in un mondo di investigatori britannici ed americani, di commissariati newyorchesi (i precincts), di private eyes californiani, i quali costituivano l’alternativa positiva al più minaccioso mondo americano che, soprattutto nella parte finale della guerra, ci sovrastava ogni giorno con il ticchettio delle mitragliatrici degli aerei stellati. Poi la guerra finì, in qualche modo la fascinazione Usa cambiò tempi e modi, e piano piano in certo senso ritornai sui miei passi.
Uscendo da un’infanzia bilingue, il mondo francese mi era automaticamente famigliare, sicché al primo serio impatto con la mitologia del Quai des Orfrèves la pipe di Maigret mi affascinò immediatamente e di questa fascinazione non mi liberai più. Fu forse Maigret il primo ad introdurmi senza remissione in quel mondo del ‘giallo da Commissariato’ che rappresenta uno degli esiti più favorevoli della narrativa, del cinema e della televisione polizieschi: da Pietà per i giusti di William Wyler, con Kirk Douglas, alla serie libresca di Ed McBain sull’Ottantasettesimo Distretto ed alla sua indipendente parafrasi televisiva Hill Street giorno e notte. L’intensa ‘famiglia’ operosa, vivissima intorno a Maigret – e cioè Lucas, Janvier, Torrence, il ‘piccolo’ Lapointe, il giudice Comelieau, il dottor Paul, l’inappuntabile Moers asso del laboratorio, l’ inspecteur malchanceux Lognon, l’impeccabile madame Maigret con la sua Prunelle d’Alsace, perfino gli amici Pardon – nel corso degli anni sono diventati gente di casa nei cui destini mi sono scoperto, riscoperto e riconosciuto tante volte. Ho perfino cercato di renderne conto in un libretto (Simenon, uomo nudo, edizioni L’ancora del Mediterraneo 2005) scritto insieme a Goffredo Fofi e Gianni da Campo. L’infanzia di Maigret antico chierichetto di famiglia semi contadina nel feudo dei conti Saint-Fiacre è totalmente diversa dalla mia, come tutto in lui è diverso da me, dalla carriera alla complessione fisica. Eppure di continuo sento che la mia vita e la sua sono legate da una misteriosa e seducente affinità. Come ai tempi della Rai lo si sapesse in giro lo ricordo nella nota che riguarda le traduzioni televisive dei libri sul Commissario. Da anni ho smesso di fumare la pipa , anzi di fumare del tutto (quando fu mavo scoprii che la pipa va pulita e stappata di continuo, cosa che Maigret non fa mai). Ma in certo senso quella pipa non ho mai smesso di portarla in tasca. Ed è tutta colpa di Simenon.

1. Consiglio al lettore una visita al sito del Centro Studi Georges Simenon, www.ulg.ac.be/libnet/simenon.htm. Faccio altresì presente che fra le varie voci consultabili nel sito ci sono la biografia di Georges Simenon, le tesi universitarie consacrate allo scrittore che siano state depositate presso i Fonds Simenon, i sommarii dei 19 numeri della rivista Traces, oltre che i capitoli essenziali che riguardano le opere di Simenon, la filmografia e le opere consacrate a Simenon ed un utile elenco dei siti web dedicati allo scrittore.

2. Uno è il dottor Romolo Ansaldi, che è stato un noto commercialista di Genova, e che da decine di anni si è dedicato a diverse forme di collezionismo, fra cui la più importante sicuramente è quella concentrata su Georges Simenon. Del quale, grazie ad una rete di bouquinistes parigini, possiede ormai, credo salvo quattro, tutte le prime edizioni, comprese quindi anche tutte le pubblicazioni della parte iniziale della carriera dello scrittore, quando Simenon firmava con pseudonimi vari, su libri e su riviste. Questa ammirevole raccolta è ospitata in alcune stanze di un appartamento di Genova che ho avuto il piacere di visitare. Mi riesce qui impossibile citare tutti i giornali e i libri nei quali da anni il dottor Ansaldi è menzionato ed ai quali ha fornito elementi tratti dal suo straordinario archivio. Gli altri sono due amici, già compagni di scuola all’età di quattordici anni a La Spezia, che da quel periodo ormai lontano hanno portato sino ad oggi una solida colleganza ed una naturale, scrupolosa passione di collezionismo. Sono Marco Biggio (commerciante a Levanto) e Andrea Derchi (medico rianimatore a La Spezia), autori del libro Simenon in Italia edito da Edizioni Cinque Terre, giunto ormai, nel 2010, alla terza edizione. Testo utilissimo per tutti gli appassionati.

3. Negli anni e in varie nazioni si è fatto ampio ricorso ai testi di Simenon per allestire telefilm e sceneggiati. È un tema che esula da quello del presente testo che riguarda Simenon visto dal cinema ma, considerata la popolarità del Maigret televisivo, ne farò comunque cenno. Limitandomi a ricordare soltanto tre serie famose: Le inchieste del Commissario Maigret con Gino Cervi, che rese il commissario popolarissimo in Italia e che è tuttora ricordato da moltissimi telespettatori. La serie contenne 4 cicli per 15 episodi e andò in onda sulla Rai dal 27 dicembre 1964 al 17 settembre 1972 (la regia fu sempre di Mario Landi che tentò anche le vie del cinema dirigendo, naturalmente con Cervi, un mediocre film sul commissario, citato nell’elenco). La più lunga serie televisiva dedicata a Maigret fu quella francese, ove il commissario venne interpretato da Jean Richard (attore che giustamente non piaceva a Simenon). Essa constò di 88 episodi da 90 minuti ed andò in onda in Francia addirittura per più di 30 anni (dal 1967 al 1990). Io la comprai per Rai Due e la trasmisi per lunghi anni, ma non ricordo quanti furono gli episodi che misi in onda. Certamente non tutti quelli prodotti in Francia. Forse la migliore serie televisiva che io conosco fu quella che andò in onda in Francia (e poi anche in Italia) dal 1991 al 2005, interpretata da Bruno Cremer, che fu Maigret in 54 episodi. È curioso ricordare che, poiché si conoscevano nell’ambiente le mie simpatie simenoniane, la serie mi venne offerta in prima battuta nell’edizione di esordio di un marché francese chiamato Paris Screening. Mi piacque molto, per il sapore anni Cinquanta che la produzione riusciva ad evocare. Ma, dopo alcune esperienze con prodotti francesi non graditi dal pubblico italiano, ebbi paura di acquistarlo, rifiutai tristemente l’offerta e la dirottai amichevolmente su Rai Tre, che aveva un ascolto più ridotto ma anche più selezionato. Con l’andar degli anni, prima alla Rai, mi pare, e dopo in una rete privata, il Maigret di Cremer si è giustamente imposto all’attenzione degli appassionati.