Gli appassionati di fumetti migrano in massa verso le sale cinematografiche, c’è il nuovissimo Avengers: Age of Ultron! Nel frattempo, Michael Keaton è reduce dal successo di Birdman: a lui i cinecomics non interessano più di tanto, anche se è stato Batman a renderlo famoso. Michael si alza dalla poltrona per prendere una birra, va verso la cucina e si accorge che Sean, suo figlio, ha dimenticato il tablet sul tavolo. Michael non è un fanatico della tecnologia ma pensa che potrebbe ascoltare un po’ di musica su Youtube. Cerca la sua canzone preferita, fa partire il video ma ne inizia un altro: è la pubblicità di un film, è il trailer di Batman v Superman. Michael trema, una voce rauca e graffiante si sveglia da un sonno lungo ventitré anni: “Ehi, amico, quello dovresti essere tu”. In un universo alternativo, Michael Keaton potrebbe avere con Batman lo stesso rapporto psicotico che Riggan Thomson ha con Birdman. Riggan non riesce a staccarsi dal supereroe che gli ha portato fama e ricchezza. Anche il cinema ama i supereroi e non riesce più a farne a meno. I confini tra i media si fanno sempre più labili, cinema/fumetto/libri/videogiochi sono pianeti dell’immaginario in continua relazione. I pianeti, tuttavia, gravitano nelle loro rispettive orbite seguendo leggi fisiche, qui sta tutto collassando dentro un buco nero. Cosa ne uscirà? Un medium unico?

Dal fondo di albi a fumetti donato da Panini alla Cineteca di Bologna emergono nomi e titoli che sembrano uscire da quel buco nero. È il caso di The Spirit di Will Eisner, opera che si ispira ai noir hollywoodiani. Il personaggio fu creato da Eisner negli anni Quaranta e con lui si sono misurati autori del calibro di Alan Moore, Neil Gaiman e Moebius. L’unica trasposizione cinematografica di The Spirit si deve a un altro maestro del fumetto, Frank Miller, passato dalla china alla macchina da presa dopo il successo di Sin City e 300 (diretti rispettivamente dalla coppia Rodriguéz-Tarantino e da Zack Snyder). Bersagliato dalla censura per l’eccessivo livello di violenza, il suo tributo a Eisner è presto caduto nel dimenticatoio. Sorte diversa hanno avuto i grandi cinecomics con protagonisti i soliti Spider-Man, Wolverine e Batman. Il loro successo non accenna a esaurirsi. A proposito, l’hai visto l’ultimo Avengers?

Dal fumetto al cinema e viceversa, le suggestioni cinematografiche trovano terreno fertile per meditazioni assortite su carta. È il caso degli zombi anticapitalisti di George A. Romero: dopo aver influenzato l’immaginario collettivo e praticamente ogni medium – leggi e guarda The Walking Dead, gioca Resident Evil o The Last of Us – lo stesso regista ha preso per mano i suoi non-morti e li ha accompagnati nel mondo di china. Romero è infatti autore (con i disegnatori Alex Maleev, Dalibor Talajic e Andrea Mutti) di Empire of the Dead, edito in Italia col titolo L’impero dei morti. Il fumetto si ambienta in una New York devastata dall’apocalisse zombi e governata da politici-vampiri. Non che fosse necessario l’intervento di Romero perché il fumetto apprezzasse il potenziale distruttivo degli zombi: un esempio è Marvel Zombies, divertente spin-off di Robert Kirkman e Sean Phillips in cui tutti gli eroi più amati della Casa delle idee sono diventati non-morti particolarmente famelici.

Impossibile non citare un personaggio nostrano come Rat-Man: nella continuity delle avventure del topo creato da Leo Ortolani c’è sempre tempo per parodiare il cinema di massa, così Harry Potter diventa Il Grande Magazzi, The Walking Dead diventa The Walking Rats e via dicendo. Memorabili poi le grandi parodie a cui Panini ha dedicato albi speciali come Star Rats, Il Signore dei Ratti, Avarat e 299+1. Persino Mario, alla fine di Super Mario Galaxy, dà il benvenuto a una nuova galassia nata dalla fusione-esplosione delle stelle che popolavano la precedente. Le sovrapposizioni di mondi dell’immaginario, quando sono autentiche meditazioni, rappresentano l’essenza stessa della creazione artistica. L’opera d’arte totale cede il testimone al medium unico che si intravede dall’altra parte del buco nero.

Matteo Cutrì e Andrea Dresseno