Dal 5 al 14 febbraio la Cineteca di Bologna omaggia Hirokazu Koreeda, con una rassegna che racconta le tappe più importanti dei suoi venticinque anni di carriera, dal primo lungometraggio narrativo del 1995 Maborosi all’ultimo lavoro, Little Sister, uscito l’anno scorso ma distribuito nelle sale italiane da questo gennaio.

Acclamato come l’erede di Yasujirō Ozu, il “più giapponese tra tutti i registi”, Koreeda si è imposto nel panorama internazionale grazie all’attenzione dei festival a partire dagli anni Duemila, raggiungendo la consacrazione con Father and Son. Nella sua filmografia sono innegabili le influenze del grande maestro nipponico, a partire dai temi trattati fino agli elementi stilistici. Infatti Koreeda spesso ci racconta di relazioni familiari in continua evoluzione e di microcosmi profondamente turbati, come in Still Walking, che si immerge nelle relazioni tra figli e genitori, oppure in Nobody knows, in cui invece si concentra sul mondo dell’infanzia. Anche la dimensione temporale è molto vicina a quella di Ozu, fatta di un ritmo lento e circolare, cadenzato da rimandi e ripetizioni che evocano il concetto di temporalità buddhista. Così facendo Koreeda porta all’estremo la tensione narrativa, coinvolge intensamente lo spettatore, per poi fuggire repentinamente prima dell’esplosione emotiva in un continuo altalenarsi di sentimenti che inevitabilmente coinvolgono nel racconto.

Tuttavia, il più lusinghiero dei paragoni nel mondo del cinema nipponico rischia di ingabbiare l’autore, facendo dimenticare le sue peculiarità, in particolare l’eccezionale eclettismo e inventiva. Infatti in neppure venti film Koreeda porta sullo schermo una molteplicità di situazioni originali e inedite, muovendosi dinamicamente tra la tradizione e l’innovazione. L’intero corpus delle sue opere è caratterizzato da una grande abilità nel destreggiarsi in numerosi generi e situazioni narrative: nato nel mondo del documentario, si specializza nel melodramma, soprattutto quello a carattere familiare, ma presto le sue opere sperimentano i più svariati sentieri del racconto.

Anche in questa rassegna non si può non notare la discontinuità della sua produzione, con film molto differenti tra loro. Sicuramente quello che più si allontana dalle convenzioni è After Life, in cui Koreeda imposta il registro della narrazione su toni surreali, come farà successivamente con Air Doll (purtroppo assente da questa selezione). L’intento è quello di esplorare nel profondo le sofferenze dell’animo umano in un cupo film corale, in cui il regista mette tutti i protagonisti, e di conseguenza anche gli spettatori, di fronte a una delle domande più difficili: «Di tutti gli anni della sua vita abbiamo bisogno che scelga un ricordo. Che sia uno dei più preziosi e significativi per lei».

Un solo ricordo che resterà l’unico segno indelebile del loro passaggio sulla Terra. Grazie a quest’opera, realizzata in seguito alla scomparsa del nonno, Koreeda mette in mostra uno degli elementi centrali e caratteristici della sua poetica: la morte vista come parte integrante della vita stessa, secondo un’ottica puramente giapponese. La mancanza, l’assenza che l’autore sottolinea e scandaglia per raccontare l’essenza – spesso drammatica e sgradevole – dell’animo umano, con un’incisività nuova per il cinema nipponico canonico.

Un’occasione unica per vedere tutti i film più importanti di Koreeda, soprattutto l’ultimo Little Sister, delicato e profondo, che racconta di quattro sorelle riunite dopo la morte del padre. Un cinema intenso, ricco di riferimenti alla vita personale del regista, il quale si pone incessantemente degli interrogativi sugli eventi dell’esistenza e di conseguenza obbliga lo spettatore a non smettere mai di mettersi in discussione.

Chiara Maraji Biasi