Se l’America del New Deal trova il suo emblema in un topolino birbante, chapliniano nella sua vocazione nomadica, a ridosso della Seconda Guerra mondiale l’irrefrenabile roditore cerca stabilità e riscatto a distanza di dodici anni dal suo primo cortometraggio sonoro Steamboat Willie (1928). È infatti dalla storia di ascendenza greca (narrata da Luciano nel II secolo e musicata da Paul Dukas nel 1897), L’apprendista stregone, che riparte la storia del topo disneyano e quella sperimentale di Fantasia. Vesti lunghe che ricordano il corto a colori The Band concert e cappello stellato in testa, Mickey Mouse diventa, in quella che sarebbe dovuta essere l’ennesima Silly Symphony per orchestra, “topo degli elementi”, rubando il mestiere al tuonante stregone. Chiunque ricorderà la scopa magica e il piccolo mago che parodizza i riti ancestrali dall’alto della scogliera. Cento musicisti, reclutati dal direttore d’orchestra Leopold Stokowski, sono chiamati a mettere in musica l’episodio che farà parte di un lungometraggio composto da fughe musicali e poetiche, una fantasmagoria di “note da ammirare” e “immagini da ascoltare”: Fantasia, storia animata di un’improvvisazione tra surrealismo e arte astratta.
Si parte da Toccata e fuga in re minore di Bach per finire con Una Notte sul monte Calvo e con l’Ave Maria, rispettivamente di M. P. Musorgskij e Schubert, sfruttando per la prima volta in una pellicola commerciale, le potenzialità stereoscopiche del Fantasound, un sistema audio multi traccia all’origine del sistema surround. Come negli short film delle Silly Symphonies realizzati tra il ’29 e il ’38 in cui la musica classica è il fil rouge d’elezione, in Fantasia ricorre la polisensorialità della visione in un vortice di forme che appaiono come allucinazione lisergica e modulata, sensuale e fascinosa. Il cavallo Pegaso vola nella Pastorale, libera improvvisazione da Beethoven in un’arcadia popolata da unicorni e fauni; fatine-colibrì volteggiano nella suite dello Schiaccianoci inondando i fiori di lampi in technicolor, mentre sensuali pesci arabi fanno il verso a Busby Berkeley; ippopotami in tutù piroettano nella Danza delle ore di Amilcare Ponchielli e nel finale scalpitano scheletri e frati incappucciati.
Il movimento nel film è spazio-tempo infinito in cui la musica classica sposa sinestesicamente un’immagine voluttuosa restituendo riverberi nella liquidità di un mare primordiale (nella Sagra della primavera di Stravinskij, ove compaiono lo spazio e i dinosauri), tra la polvere monocroma del post bing bang, nell’eden color pastello pullulante di centauri, nel locus amoenus mitologico replicato in forma di art decò. Gli “strani, nuovi mondi” di Walt Disney.
Vincenzo Palermo, associazione culturale Leitmovie