A conclusione del ciclo di proiezioni che durante il Cinema Ritrovato sono state dedicate ai più piccoli, è stato proposto I fratelli dinamite di Nino e Toni Pagot. Il film, datato 1949, non è un cartone qualunque, perché assieme a La rosa di Baghdad di Domeneghini si contente il titolo di primo lungometraggio d’animazione italiano a colori. L’idea di questo film nasce all’inizio degli anni ’40, nel mezzo della Seconda Guerra Mondiale, guardando l’esempio americano di Walt Disney. Nonostante i tempi difficili, i fratelli Pagot, con ostinata passione riuscirono a realizzare il film in meno di sei anni. La breve ma avvincente vicenda della creazione de I fratelli dinamite ha dell’incredibile.
Da poco aveva fatto la sua comparsa la pellicola a colori, e la migliore sul mercato era sicuramente quella Technicolor, ma in Italia non esisteva una macchina da ripresa in grado di impressionare quella pellicola. Per non abbandonare il sogno di una qualità molto alta, in grado di restituire i colori e le sfumature in maniera eccezionale, Pagot Senior- Umberto- inventò una macchina da ripresa, i cui ingranaggi furono ricavati da un manico di scopa. Gli stessi responsabili della Technicolor, quando nei loro stabilimenti londinesi giunse un negativo girato senza le loro apparecchiature, eppure perfetto, rimasero stupefatti.
Il film debuttò al Festival del Cinema di Venezia nel 1949 riscuotendo un discreto successo. Data la pericolosità della pellicola però, composta da un supporto di nitrato d’argento altamente infiammabile, il film per motivi di sicurezza venne tolto dalla circolazione, e soltanto un decennio più tardi la RAI lo trasmise in televisione. Ma la tv era ancora in bianco e nero, e tutti gli sforzi della famiglia Pagot di restituire la gioia dei colori, fu così vanificata.
Ma l’ultima copia superstite del film, conservata in una scatola di metallo per quasi mezzo secolo, è tornata finalmente a vivere col restauro del 2004, in cui si è anche ritrovata l’originale freschezza dei colori. Tra i due fratelli Pagot c’erano tredici anni di differenza, e Toni, il più piccolo, si è spesso definito “coltivato” da Nino, grazie al quale ha anche intrapreso gli studi artistici a Brera quando il padre intendeva indirizzarlo verso studi di ingegneria. Studi che invece portò a termine Nino, nonostante non avesse mai smesso di disegnare per riviste e giornalini anche negli anni del Politecnico.
La genesi di questo lungometraggio può individuarsi già nelle prime illustrazioni e opere d’animazione dei due fratelli, specie del maggiore. La narrazione è impregnata di intenti morali, ma la trama non è affatto scontata: mentre gusta l’abituale thé delle cinque, la zia Cloe, sorella del Capitano Spugna, racconta alle amiche le imprese dei suoi nipotini, Din Don Dan, meglio conosciuti come i fratelli Dinamite.
Una tempesta si abbatte sul veliero del padre, sul quale viaggiavano, e i tre fratellini si ritrovano soli in mezzo all’oceano. La corrente li porterà in salvo su un’isola, dove vengono curati e nutriti dagli animali; quì la zia Cloe giungerà a “salvarli” dalla vita selvaggia per riportarli alla civiltà. Il cartone ci porta poi a qualche anno più tardi, i Dinamite sono in età scolare e l’insediamento di una tenda del circo davanti alla scuola sarà il motivo catalizzante di tutte le loro avventure, che li porterà dallo scontro con il Diavolo, un Belzebù con un segreto debole per la musica, fino al Carnevale di Venezia.
Attorno a questo lungometraggio, ai Pagot e al loro studio di animazione di Milano si formerà il gruppo dei più importanti artisti che scriveranno la storia dell’animazione italiana.
Beatrice Caruso