Con il suo atteso Sosialismi,Peter von Bagh (qui nelle vesti di regista, pur vestendo anche i panni del direttore del Cinema Ritrovato) racconta il filo rosso che lega, in un modo o nell’altro, più o meno direttamente, le tappe e lo sviluppo la storia contemporanea: il socialismo, intrecciandolo con la storia del cinema. Partendo dalla comune di Parigi e arrivando al crollo del muro, delle utopie e delle ideologie, la narrazione “del sogno più grande del ventesimo secolo e la fonte dei suoi incubi più bui” (Olaf Moller) lascia allo spettatore una domanda amara e una considerazione che è anche senso dell’opera: la prima è cosa avrebbero pensato e come avrebbero reagito Lenin e gli altri padri del “ciliegio in fiore” davanti alle azioni di Stalin e compagnia che hanno trasformato il sogno in incubo, o, alla meglio, in sterili cimeli per collezionisti nostalgici o inconsapevoli. La seconda è che socialismi e cinema sono nati e si sono sviluppati parallelamente –o che il cinema sia un frutto del socialismo, come dimostrerebbe la scelta di aprire l’opera con uno dei primissimi film dei Lumiere, La sortie de l’Usine Lumière a Lyon-, mossi dalla stessa esigenza: cioè, la necessità di creare “immagini” che siano allo stesso tempo rappresentazione, presa di consapevolezza, sogno e spinta al cambiamento e alla lotta. Da questo punto di vista la conclusione a cui arriva il regista non è pessimista. L’unione tra cinema e socialismo non è trattata, banalmente, solo attraverso l’utilizzo di semplici immagini di repertorio che sottolineino le tappe storiche raccontate. L’intreccio è molto più profondo, e lo si vede dal tipo di materiali usati e dall’ordine cronologico seguito. Apparentemente la narrazione, divisa in capitoli, rispetta l’ordine cronologico, in realtà la sovrapposizione tra eventi e questioni non coeve è continua; allo stesso modo costante è il salto nel tempo degli spezzoni e dei film citati. Si crea così un flusso allo stesso tempo fluido e compatto, che rafforza la concezione di un percorso coerente e quasi immutabile sia nella bontà delle esigenze alla base (il sogno), sia nei drammi che ne sono scaturiti (il risveglio). Infine, il “socialismo” del cinema diventa esplicito nella varietà del materiale usato: non solo i classici registi e prodotti in qualche modo marxisti, ma anche film in cui il pensiero socialista è entrato in maniera meno immediata, da Chaplin a Ford a De Sica.

EDOARDO PERETTI