Un altro capitolo del viaggio proposto dall’esperto Federico Magni su generi, tecniche, effetti speciali e dettagli della Hollywood classica. Questa volta si parla di fantascienza.

“Nel 1954 il miglior risultato al box-office per la Warner Bros. fu Assalto alla terra, un successo in un settore (la fantascienza) che non rientrava tra i preferiti della casa produttrice. Mentre la denominazione italiana richiama il rischio di una invasione da mondi sconosciuti – evento inscenato in grande stile l’anno precedente da La guerra dei mondi (War of the Worlds) – il titolo originale Them! (Loro!) evoca un rapporto diretto, una familiarità esplicita con il pericolo incombente. In effetti La minaccia è la mutazione abnorme di una delle specie animali più comuni sul pianeta, conseguenza della azione dell’uomo, in questo caso gli esperimenti atomici del 1945.

Inizialmente il film era previsto in 3-D e col sistema Warnercolor, come La maschera di cera (House of Wax, 1953), da cui proveniva lo scenografo Stanley Fleischer. La Warner decise invece per il bianco e nero, lasciando solo i titolo di testa in un rosso acceso. Le asciutte immagini del film erano opera del veterano Sid Hickox (1895-1982). Nell’industria cinematografica dal 1915, promosso cameraman l’anno seguente, Hickox festeggiava vventinove anni di militanza presso la – Warner Bros. Collaboratore fidato di Raoul Walsh, si sapeva muovere con sicurezza sia nel bianco e nero (La furia umana / White Heat e Gli amanti della città sepolta / Colorado Territory, 1949) che nel colore (Tamburi lontani / Distant Drums, 1951).

Un ispirato Gordon Douglas ritardò l’apparizione delle creature per allestire una atmosfera da film horror e dosare abilmente la tensione. La prima parte è ambientata in un deserto ventoso e inospitale: benché la storia ponga l’azione nel New Mexico, si tratta del deserto del Mojave, situato in gran parte nella California del Sud, al confine con Nevada e Arizona. Negli anni Cinquanta il deserto fu teatro di altre realizzazioni fantascientifiche, soprattutto a marca Universal. L’entrata in scena degli esseri giganti – la cui presenza è sottolineata da un acuto stridio – avviene in un mezzo a una tempesta di sabbia e conserva intatta la sua efficacia.

Sotto la guida del supervisore Ralph Ayers e del capo attrezzista Richard C. “Dick” Smith (omonimo, ma non parente, del famoso truccatore), il reparto effetti speciali costruì due esemplari nelle proporzioni dettate dal copione: un modello a figura completa, con zampe mobili (anche se insufficienti ad effettuare spostamenti), l’altro con solo la testa e la parte interiore del busto. Le movenze di entrambi i modelli erano ottenute tramite apparati meccanici mossi dall’interno da una squadra di tecnici o tramite controllo remoto via cavi. Altri esemplari in scala più piccola vennero approntati per le scene di massa, con minimi movimenti della testa e delle appendici. Con questo sistema si evitavano i rischi insiti nella animazione a passo uno o l’artificio di una retroproiezione con lo schermo trasparente. La scelta di impiegare effetti meccanici a grandezza naturale si rivelò vincente: gli interpreti avevano sul set una presenza concreta e definita con cui interagire, ed il senso di pericolo era efficacemente comunicato al pubblico.

Anche i membri dell’Academy erano della stessa opinione ed il film venne candidato all’Oscar per gli effetti speciali. In quegli anni la regola prevedeva che fossero resi noti solo i titoli delle pellicole candidate, senza andare nello specifico dei nomi. Il premio veniva assegnato al reparto apposito della casa di produzione. La stampa specializzata associò ad Assalto alla terra il nome di Ralph Ayers (1911-1976), che aveva in carico gli effetti meccanici. Entrato alla Warner nel 1939, ricevette un Oscar per le realizzazioni scientifiche e tecniche nel 1952, grazie ad un congegno in grado di produrre scie e onde per sequenze marine. Le creazioni meccaniche di Assalto alla terra restano il lavoro più noto, ma il suo terreno d’elezione erano gli effetti pirotecnici, con cui si mise in luce grazie a Ballata selvaggia (Blowing Wild, 1953) e che ripropose in Jack Diamond, gangster (The Rise and Fall of Legs Diamond, 1960) di Boetticher, L’urlo della battaglia (Merrill’s Marauder, 1962) di Fuller e Il mucchio selvaggio (The Wild Bunch, 1969) di Peckinpah, dove affiancò un altro veterano della casa, Horace ‘Bud’ Hulburd. Ayers si ritirò nel 1972, dopo aver completato Dirty Little Billy (1972).

Nella corsa all’Oscar trionfò Ventimila leghe sotto i mari (Twenty Thousand Leagues Under the Sea), con la statuetta assegnata al dipartimento effetti fotografici della Disney. L’omissione di candidati ufficiali (pratica che cessò due anni dopo) non solo era una scelta discutibile nei riguardi dei tecnici degli effetti visivi ma finiva con il danneggiare anche i creatori degli effetti sonori. Nel caso di Assalto alla terra la componente sonora svolge un ruolo importante.

Strutturalmente il film è articolato in tre parti principali: l’inizio nel deserto, dominato dal sibilo del vento su cui si insinua il ‘trillo’ che annuncia la presenza delle creature; la parte centrale a Washington, permeata da suoni tecnologici (radio, telefoni, telescriventi) che sottolineano la diffusione delle notizie e il diffondersi del pericolo; l’ultima parte con la caccia finale nelle fogne di Los Angeles, anche qui caratterizzata da un rumore naturale (lo scorrere e gocciolare dell’acqua) e dallo stridore anomalo. A rimediare intervenne la Società dei Montatori del Suono (MPSE), che assegnò il premio annuale (chiamato Golden Reel) ai principali tecnici di Assalto alla terra: Lincoln Lyons, Irvin Jay, Walter Feldman e David DePatie. Frank Lincoln Lyons (1905-1978) era il veterano del gruppo, in attività dal 1929; alla Warner Bros. operò anche da fonico ma il suo ambito usuale erano gli effetti sonori, sia come assemblaggio che come missaggio (Il sogno di una notte di mezza estate / A Midsummer’s Night Dream, 1935; La storia del dottor Pasteur / The Story of Louis Pastuer, 1936; Sayonara, 1957). Irvin Jay (1908-1981) era nipote della regista Lois Weber; nei ranghi della Warner dai primi anni Trenta firmò, tra gli altri, Prigionieri del cielo (The High and the Mighty, 1954), Mister Roberts (1955) e Laquila solitaria (The Spirit of St. Louis, 1957). L’anzianità di servizio di Walter Feldman (1909-1961) risaliva al 1938 ed il suo curriculum comprendeva Il mostro della via Morgue (Phantom of the Rue Morgue, 1954), I giganti toccano il cielo (Bombers B-52, 1957), Furia selvaggia (The Left-Handed Gun, 1958) e Il nudo e il morto (The Naked and the Dead, 1958). Il più giovane del gruppo David DePatie (Los Angeles, 1929) giocava in casa: su padre Edmond era un dirigente della Warner che divenne general manager e vicepresidente della major. Il giovane DePatie trascorse gli anni Cinquanta dedicandosi agli effetti sonori (anche per produzioni esterne, come Il giro del mondo in ottanta giorni / Around the World in Eighty Days, 1956), quindi prese a mano la divisione commerciale e, nel 1960, il reparto animazione. Nel giugno 1963 fondò, con il celebre regista Friz Freleng, lo studio DePatie-Freleng che, nel giro di pochi anni, acquisì importanza internazionale (ed un Oscar) grazie al personaggio creato per i titoli di testa di un film di Blake Edwards, La pantera rosa (The Pink Panther, 1964). La troupe del montaggio suono includeva anche William John ‘Bill’ Mauch (1921-2006), che affiancò DePatie in Gioventù bruciata (Rebel Without a Cause, 1955). Prima di passare al montaggio dialoghi (La signora in giallo / Murder She Wrote) Mauch fece parte delle squadre che assemblarono i suoni per Un dollaro donore (Rio Bravo, 1959), dove i primi cinque minuti sono privi di dialogo, solo la musica di Dimitri Tiomkin e gli effetti sonori, e La grande corsa (The Great Race, 1965), omaggiante la dinamica caotica delle comiche e dei cartoons. Vinse due Golden Reel per gli inseguimenti sulle strade di San Francisco in Bullitt (1968) e le cruente sparatorie (compresa l’ecatombe finale) de Il mucchio selvaggio (The Wild Bunch, 1969). Mauch era entrato al reparto suono della Warner nel 1950, dalle fila degli attori free lance. Si trattò di un ritorno alle origini (cinematografiche): negli anni Trenta Billy Mauch e il suo gemello Bobby passarono dalla radio ai teatri di posa di Burbank, ottenendo un ragguardevole successo nella trascrizione da Mark Twain Il principe e il povero (The Prince and the Pauper, 1937), a fianco di Errol Flynn”.

 

Federico Magni