Il programma “Esporre fotografie”, sempre a cura di Rinaldo Censi, ha costituito un altro tassello di Art City Cinema a Bologna. La pellicola Filming Muybridge (1981) di Jean-Louis Gonnet ha aperto le danze mostrando in rapida successione le tavole realizzate da Eadweard Muybridge, fotografo che nel 1878 inventò la fotografia a istantanee e la cronofotografia regalando così, per la prima volta, l’illusione ottica del movimento. Il primo esperimento di questa tecnica fotografica ebbe come soggetto un cavallo in corsa.

Nel tentativo di cogliere il movimento dell’animale, Muybridge dispose dodici fotocamere a intervalli regolari lungo la pista da corsa: ad ogni otturatore venne collegato un filo nero che, attraversando la pista all’altezza del petto del cavallo, si sarebbe dovuto rompere al suo passaggio azionando così le fotocamere. In questo modo il fotografo ottenne dodici fotogrammi singoli, ciascuno raffigurante un momento diverso della corsa del cavallo. In seguito Muybridge proseguì immortalando figure umane nell’atto di compiere gesti della vita quotidiana come ad esempio salire e scendere le scale, camminare; oppure intenti a praticare sport come la scherma o il pugilato. E’ proprio da queste tavole che parte lo studio di Gonnet: Il regista pone le fotografie, immagini fisse, l’una in successione all’altra, dinamizzandole attraverso rapidi stacchi di montaggio creando, in questo modo, una micro finzione di movimento. Progressivamente Gonnet si avvicina alle figure attraverso zoom in avanti “entrando” talmente nelle tavole al punto che, alla fine non resta nulla se non la grana o la traccia tipografica dell’immagine. Obiettivo del regista è sezionare la fotografia fino ad arrivare a smaterializzarla davanti ai nostri occhi.

La seconda pellicola proposta The Idea of North (1995) di Rebecca Baron trae le sue fila da 5 fotografie di tre esploratori filmate da un libro di fotografia scandinava. Le foto in esame racchiudono una tragica storia, queste infatti sono state ritrovate negli anni Trenta in Antartide insieme ai cadaveri degli esploratori che le hanno realizzate. Il film è una lunga riflessione che gira attorno a queste immagini, al loro ritrovamento e a come si è cercato di recuperarne l’immagine latente che sembrava fosse andata perduta.

Nostalgia (1971) di Hollis Frampton è stata la terza pellicola presentata, in cui vengono mostrate le fotografie realizzate dallo stesso Frampton in successione. La particolarità del metodo espositivo risiede nel fatto che le immagini non coincidono con il racconto della voce narrante. Infatti, il regista ha creato uno spostamento tra immagine e suono tale per cui il racconto che si ascolta non appartiene alla foto che viene mostrata ma a quella successiva. In questo gioco di sfalsamento del piano temporale, in cui la narrazione visiva non coincide con quella sonora, Frampton prosegue bruciando le fotografie e quindi bruciandone la loro memoria. Interessante è la dinamica che si viene a creare, una sorta di gioco mnemonico a cui il regista chiama gli spettatori a partecipare costringendoli a imprimere le fotografie nella mente.

Quarta e ultima pellicola: Square dance. Los Angeles County California, 2013 di Silvia Das Fadas, giovanissima film-maker. Il cortometraggio è costruito a partire da fotografie di Russell Lee risalenti al periodo della grande depressione, raffiguranti scene di danza. Un poema di George Oppen lega le immagini insieme all’accompagnamento musicale, composto da canzoni di attivisti politici. L’aspetto interessante, portato in luce dalla regista, risiede nella rappresentazione delle fotografie sulle quali si riflettono le ombre delle foglie degli alberi che sembrano danzare. La resa visiva finale è molto suggestiva in quanto le foto vengono svelate attraverso giochi di ombre.

Fil rouge di queste quattro pellicole è il riuscito tentativo di mostrare come l’immagine fissa della fotografia possa essere dinamizzata e presentata attraverso il cinema che concorre a recuperarne la storia e l’immaginario che le ha prodotte.

Valentina Ceccarani