Un fotogramma di ”L’arbitro” di Paolo Zucca

Per festeggiare i 20 anni di attività Visioni Italiane ha dedicato ieri una tranche di proiezioni notturne per celebrare la sua storia. Da mezzanotte in poi, mentre i più mondani si sono lanciati in danze scatenate durante il Vintage Party organizzato ad hoc, per i più cinefili la sala blu ha continuato a programmare una piccola antologia di quei corti che nel tempo hanno svelato e lanciato alcuni autori del cinema italiano recente. Se alcuni nomi suoneranno meno familiari perché più di nicchia come ad esempio quelli di Ursula Ferrara e Astutillo Smeriglia, entrambi registi-artisti di corti di animazione che fabbricano in modo quasi autarchico, il pubblico del Lumière ha avuto l’occasione per rispolverare o scoprire alcune opere prime di certi nomi che adesso fanno notizia. C’è il corto originario di ”Incantesimo Napoletano” del 1998, successivamente dilatato a lungometraggio (nel 2002), di Luca Miniero e Paolo Genovese, registi esordienti agli inizi del 2000 e venuti dal mondo della pubblicità. Un piccolo film salutato dalla critica dieci anni fa con molto entusiasmo e con un successo di pubblico impensato attraverso il passaparola. Scriveva Maurizio Porro al proposito sul Corriere della Sera :”[…] Un piccolo, grottesco, divertente film italiano diverso da tutti gli altri. Probabilmente ispirata da un comizio di Bossi, la storia-incubo vede due napoletani veraci mettere al mondo l’infanta Assunta, che ha da subito tutte le psicosomatologie milanesi. […] Un’infanzia terribile, come racconta lei stessa dalla terza età al pubblico, ma anche una ferita dolorosa per papà e mamma che non sanno accettare la piccola nordista e se ne vergognano presso amici e parenti. Una trovata surreale che a un certo punto narrativamente si ferma, ma la bravura e la simpatia dell’ensemble degli attori, appartenenti alla gloriosa tradizione teatrale partenopea, da De Filippo a Martone, difende lo spirito del film che merita attenzione perché va sopra e oltre le righe e non si allaccia a nessun genere precostituito. Marina Confalone e Gianni Ferreri, che psicosomatizza in modi irresistibili il suo disagio linguistico sociale, sono i due genitori in crisi, intorno a cognati eccitati, che hanno provocato un assurdo divieto ai minori, zii al ragù e un teatrino di comprimari che, in veste di coro, offre al film una sua saporita verità. ”. Tra le altre, anche due opere interessanti diSalvatore Mereu (Miguel) e Fabio Mollo (Al buio) , due autori che si possono, a ragione, ascrivere al sempre più ricco filone del realismo magico del cinema italiano odierno, da Crialese in poi. Mereu e Mollo sono due registi il cui sgaurdo indugia sulla quotidianità dei personaggi cercando la poesia dove a volte non balza agli occhi e dove la durezza della realtà sociale viene trasfigurata dalla bellezza dell’elemento naturale e dalla potenza di ciò che non si vede.Una mini-rassegna per farsi un’idea di come lo sguardo del nostro cinema sia cambiato, di quali siano i temi emersi negli anni, i problemi esplosi e quelli lasciati alle spalle; un medley di corti che diventa macro-racconto per farci riflettere sul nostro immaginario in mutamento e su come, in fondo, siamo cambiati un po’anche noi. Oltre a ciò la rassegna diventa un piccolo documento che fissa per un’ora  o poco più un importante concetto: la funzione fondamentale che possono svolgere i festival cinematografici nell’andare a cercare le perle perdute, gli aghi nel pagliaio, nel valorizzare anche quelle opere che distrattamente vengono lasciate in disparte dal mercato, dalla critica, dal pubblico, stimolando sempre la curiosità e il gusto per la diversità di visioni possibili.