Nicolas Eymerich nasce dalla penna di Valerio Evangelisti nel 1994. Il personaggio letterario, protagonista di numerosi romanzi, si ispira all’omonimo inquisitore catalano, vissuto nel XIV secolo. Nel novembre 2012 la bolognese TiconBlu, in collaborazione con Imagimotion, realizza il primo capitolo dell’adattamento videoludico: La Peste. A un anno dall’uscita del primo capitolo, Nicolas Eymerich torna col secondo episodio, Il Villaggio, in uscita in Italia in questi giorni e che verrà presentato alla Biblioteca Renzi della Cineteca.

C’è da dire che il videogioco ispirato a Eymerich ha dalla sua una caratteristica non indifferente: è il primo videogioco della storia interamente doppiato in latino. Ovviamente non mancano lingue più abbordabili come l’italiano o l’inglese, ma per i “puristi” dell’esperienza immersiva si tratta di un dettaglio decisamente affascinante per un gioco di ambientazione medievale. Segue

Eymerich è prima di tutto un adattamento, però. Un processo di rimediazione ampiamente consolidato che, nel caso specifico, coinvolge due media strutturalmente differenti come libro e videogioco. Diversi per modalità e tempi di fruizione, per tradizione ma anche, più banalmente, per grado di apprezzamento presso l’opinione pubblica. Tuttavia Eymerich (il videogioco) compie una scelta da non sottovalutare: opta per l’avventura grafica, da sempre genere “narrativo” per eccellenza. Un genere che ha antenati illustri come The Secret of Monkey Island (probabilmente l’opera magna di LucasArts) o, andando ancora più a ritroso nel tempo, quelle avventure testuali che trascinavano il giocatore in reami virtuali affidandosi al solo utilizzo del racconto scritto. In altre parole, nell’avventura grafica la parola e i dialoghi sono al centro dell’esperienza, e i tempi di fruizione si dilatano, rallentano rispetto ad altri generi videoludici, per far sì che il giocatore possa godersi al meglio enigmi e racconto.

Un altro romanzo tutto italiano era stato oggetto di un adattamento analogo. Nel 2009 gli spagnoli di Alcachofa Soft realizzano The Abbey, titolo ispirato a Il nome della rosa di Umberto Eco, opera letteraria già coinvolta in un precedente adattamento – questa volta cinematografico – a opera di Jean-Jacques Annaud. Anche in questo caso il genere scelto è quello dell’avventura grafica, che ben si presta a raccontare le indagini di Guglielmo da Baskerville e Adso da Melk. Ci aveva già pensato Paco Menéndez nel 1987 con La Abadía del Crimen: anche in questo caso l’ispirazione è diretta ma, in mancanza dei diritti, il titolo viene modificato.

L’avventura grafica come genere prediletto per gli adattamenti da romanzo a videogioco? Così parrebbe, come dimostrano anche The Dark Eye, titolo ispirato a tre racconti di E.A. Poe, o Discworld, basato sui romanzi di Pratchett, e l’elenco potrebbe continuare. L’eccezione che conferma la regola è però dietro l’angolo e va a scomodare quel mostro sacro che è l’Inferno di Dante. Nel 2010 Visceral Games adatta l’opera del sommo poeta trasformandola in un gioco d’azione: Dante per l’occasione diventa un crociato che deve scendere negli inferi, accompagnato da Virgilio, per salvare Beatrice. Un’operazione blasfema, verrebbe da dire, non fosse che gli sviluppatori hanno egregiamente approfittato della florida immaginazione di Dante per ricreare le perverse atmosfere dei gironi e, scegliendo inaspettatamente il genere action, hanno valorizzato appieno alcune delle specificità del medium videogioco. Il Dante videoludico perde le caratteristiche del passivo osservatore letterario e diviene eroe iperattivo e virile; e il giocatore, smessi i panni del silente lettore, può finalmente decidere quali anime salvare o dannare per l’eternità.