Da questa settimana, e in deliziosa combutta con l’Archivio Videoludico della Biblioteca Renzo Renzi, Cinefilia Ritrovata comincia ad abbracciare anche il mondo del videogame. Del resto, tra cinema e videogiochi, il rapporto è molto più stretto del previsto, e la cultura videoludica possiede svariati punti di contatto con la cinefilia. Beyond: Two Souls, il gioco di cui parliamo questa settimana (e disponibile per gli utenti della biblioteca), è solo l’ultimo esempio di un rapporto nato e cresciuto all’ombra dell’emulazione, del conflitto e del mutuo soccorso. Che cinema e videogioco fossero destinati a incrociare le loro strade più e più volte era quasi scontato, data la natura audiovisiva dei due media. Meno scontati erano semmai i risultati – spesso discutibili sul fronte della qualità – e ancor meno i rispettivi destini, con il cinema che perde la sua centralità nel panorama mediale contemporaneo e il videogioco che, complice l’evoluzione tecnologica e il fiorire delle realtà indie, supera per profitto e sperimentazione la tradizionale industria cinematografica.
In origine venne Cinemaware, software house americana specializzata nella produzione di videogiochi d’ispirazione cinematografica (celebre It Came from the Desert del 1989, ispirato ai B-movie degli anni Cinquanta). Poi fu il tempo dei cosiddetti film interattivi, che spopolarono nei primi anni Novanta: attori in carne e ossa venivano digitalizzati e incollati su fondali prerenderizzati. Pure Christopher Walken cadde nel tranello con The Ripper – a essere onesti un titolo assolutamente dignitoso – ma più in generale molti attori decisero di prestarsi all’operazione: l’introduzione del CD-ROM, dopotutto, concedeva loro un nuovo palcoscenico in cui poter dar sfoggio delle proprie capacità. Si rivelò una moda passeggera. Oggi gli attori non recitano più all’interno del gioco, ma prima: le loro fattezze e le loro movenze vengono catturate dagli sviluppatori, che le trasferiscono in un avatar digitale interamente ricreato al computer. Sono finiti i tempi del copia e incolla.
Beyond: Two Souls ne è l’esempio più recente. Il titolo Quantic Dream annovera nel suo cast due attori del calibro di Willem Dafoe ed Ellen Page. David Cage, autore del gioco, ha sempre avuto un debole per queste sperimentazioni a metà strada tra cinema e videogioco, opere in cui la narrazione sovrasta l’interazione. Prima con Fahrenheit, poi con Heavy Rain. Beyond è stranamente privo di un vero e proprio obiettivo: il giocatore vive la vita straordinaria di Jodie Holmes, ragazza “speciale”, connessa sin dalla nascita a un’entità che la accompagna in ogni momento. Una storia straordinaria, la sua, che con le dovute distinzioni ricorda Big Fish di Tim Burton. Non tanto per le tematiche affrontate, quanto per l’assenza di un vero e proprio obiettivo. L’autore si limita a raccontare una vita, per tasselli, andando avanti e indietro nel tempo. Una scelta narrativa che spiazza, affatto cinematografica. L’autore-osservatore, come fosse in sala di montaggio, abbandona la linearità a favore di una frammentazione che rispecchia quella dei ricordi: ciò che rimane nella memoria, quel che merita di essere raccontato, è ciò che ci ha segnato, il resto non conta.
Come gioco “puro”, Beyond si prende delle licenze notevoli: quel che il giocatore può fare o meno in ogni scena varia senza alcuna logica. In altre parole, il giocatore fa sempre quel che vuole l’autore, non quel che ha imparato a fare: dal punto di vista ludico è la morte del gameplay. L’entità connessa a Jodie, che possiamo impersonare a più riprese, aveva inoltre tutto il potenziale per aprire un interessante discorso sul ruolo del giocatore. Una riflessione che però Cage sembra voler lasciare in secondo piano.
David Cage – David De Gruttola all’anagrafe – è un autore particolarmente controverso, spesso malvisto dagli stessi giocatori. Alcuni sostengono che le sue sceneggiature sfigurerebbero al cinema: eppure Cage non fa cinema e le sue sceneggiature andrebbero inquadrate considerando il medium cui appartengono.