Il mistero Michel Gondry continua. Amato alla follia da un folto gruppo di spettatori e cinefili, irritante invece per molti altri, è un artista che non si può ridimensionare. I suoi film stentano a produrre grandi incassi, e persino la nazionalità di produzione sbanda tra America ed Europa, facendo sì che il suo immaginario ibrido faccia resistenza a inquadramenti fluidi. Quando gira un film molto americano, come Se mi lasci ti cancello, l’approccio è mentale ed europeo. Quando gira un film in Francia come L’arte del sogno, si trovano tracce indelebili di Hollywood.Con Is the Man Who Is Tall Happy? mescola il film-intervista con il disegno, ennesimo “crossover” inedito. Intervistando Noam Chomsky – e preferendo il suo statuto di linguista e scienziato a quello del militante politico – riesce a trasformare i ragionamenti dell’anziano studioso statunitense in una serie incredibile, e vastissima, di bozzetti, schizzi, rappresentazioni, schemi, immagini, che scorrono sullo schermo. Il corpo di Chomsky è “in absentia” o quasi, e la voce di Gondry (nel suo anglo-francese da macchietta) guida come un flusso di coscienza l’intervista e la riflessione sull’intervista stessa. Si tratta di un esperimento affascinante e talvolta intricato (noi italiani siamo infatti chiamati a un doppio sforzo per leggere anche i sottotitoli, godendo contemporaneamente del torrenziale scorrere dei disegni sullo schermo), ma sempre originale e stimolante.
Grazie alla discussione con Chomsky, Gondry sembra ribadire che la domanda del suo cinema è sempre la stessa: da dove vengono le immagini? Sepolta sotto strati di bizzarrie, nascosta dentro congegni e invenzioni funamboliche, travestita da egotismo autoriale, camuffata da cinefilia e citazionismo, la richiesta alla macchina cinema sembra essere sostanziale. Il Gondry che ha reinventato il genere fantastico nel videoclip – si pensi ovviamente alla videografia di Bjork – è colui che al cinema cerca l’albero della vita, la radice quadrata del suo stesso fare multimediale, l’aleph da cui ha preso origine la contemporaneità. Proprio il compito di Chomsky sul linguaggio. Un incontro che non poteva essere rimandato.