Il nuovo film di Frederic Wiseman, presentato a Cannes e proposto a Bologna dal Biografilm, è (e certamente rimarrà anche a fine anno) uno dei capolavori del 2014, oltre che una sorta di summa teorica e filosofica dell’opera di questo cineasta così poco conosciuto in Italia. Dentro National Gallery c’è tutto quello che chiediamo a un documentario che non si limita a riprendere delle facce e a proporre un contenuto senza interrogarsi sullo stile. Anzi, attraverso la consueta pratica del girare decine di ore e passare oltre un anno al montaggio, Wiseman sembra esplorare tutto ciò che può essere detto intorno al concetto di istituzione museale nella cultura contemporanea. National Gallery è forse l’opera che meglio risponde (magari con altre domande) al quesito della sezione del Biografilm in cui è stato proiettato: “Che cosa è la cultura”?
Per offrire qualche testimonianza del bellissimo film, facciamo nostre le parole di alcuni critici. Cominciamo da Marianna Cappi su Mymovies: “Con National Gallery , in un certo senso, il regista esce allo scoperto. Non è un mistero che il suo lungo fotografare la realtà, tenersi fuori scena, trasformare il documento da concreto ad astratto con la sola forza del punto di vista, sia da sempre un modo di parlare anche del dispositivo che lo rende possibile, ovvero del cinema (basta pensare che ci sono più dialoghi da antologia in quelli rubati dal suo microfono che nella maggior parte delle sceneggiature più incensate). Eppure, questa volta è davvero possibile seguire tutto il film, nella sua consueta durata-fiume che mai stanca e mai esonda, sostituendo all’oggetto dell’indagine il cinema nei suoi tanti aspetti. Il dipinto per l’inquadratura, il museo per l’industria, l’arte per l’arte.
Ecco allora che le riunioni di marketing che si tengono alla vigilia del consiglio d’amministrazione della galleria assomigliano a quelle di una casa di distribuzione alla vigilia della promozione del film, che il laboratorio con i ciechi sembra parlare di 3D, che le questioni di budget (soprattutto di tagli al budget…) sono le stesse, ed equivalenti sono i problemi posti dai necessari interventi di restauro e conservazione. Ed è solo l’inizio. Varcando la soglia della cornice per entrare nella narrazione interna al dipinto, si precisa ancora di più il paragone con il film, mezzo di intrattenimento ma anche espressione del suo autore, soggetto al potere del committente/produttore, inserito in un preciso contesto storico-artistico, analizzabile dal punto di vista del colore e della composizione oppure nel suo dialogo con le altre opere della stessa “sala” e con le altre arti.
Wiseman racconta il museo come fosse un testo, con tante storie al suo interno ma anche una copertina studiata per la vendita, una superficie da spolverare, un uso e un’interpretazione differenti a seconda del lettore di turno. Ma National Gallery è anche e soprattutto una critica della critica (cinematografica) che avrebbe ragione di diventare un testo imprescindibile per gli addetti ai lavori, oltre che uno spettacolo per gli occhi e una conversazione privata e politica con la storia dell’arte sull’atto stesso del guardare”.
E ancora, Pietro Bianchi su Doppiozero: “I suoi film sono spesso lunghi diverse ore (quest’ultimo sulla National Gallery più di tre) e richiedono di essere visti con una grande dose di attenzione, dato che mancano sia di una qualsivoglia forma di voice over oltre che di una qualunque forma di intervista frontale. Permettono però come pochi altri di entrare nella rete di relazioni e di rapporti che contraddistingue un’istituzione e così di riuscire a comprenderne il funzionamento e i presupposti. In quest’ultimo caso, dopo quel meraviglioso cantico in favore dell’università pubblica che è stato At Berkeley presentato all’ultimo Festival di Venezia, impariamo a conoscere il funzionamento di uno dei più importanti musei del mondo: dal meticoloso e scientifico restauro di un Rembrandt a una lunga riunione amministrative sulla gestione del personale; dall’allestimento di una mostra su Leonardo al difficile lavoro delle guide, la National Gallery viene aperta ai nostri occhi a tutti i livelli, riuscendo anche a farci vedere le tante difficoltà che deve affrontare una grande istituzione di massa, stretta tra le esigenze di marketing e le restrizioni di budget, tra la necessità dei grandi eventi e la vocazione culturale. Wiseman si dimostra capace ancora una volta – nonostante abbia compiuto da poco 84 anni – di avere una curiosità intellettuale e un’attenzione dello sguardo che manca a molti dei documentaristi più giovani di lui (soprattutto a quelli “politici”)”.