Garnet Frost è descritto da tutti come un uomo straordinario. Vent’anni fa lascia Londra per ritrovarsi nella desolante e magnifica natura scozzese dove, intrappolato tra le montagne e il lago di Arkaig, rischia di morire. Ma non è ancora il suo momento: Garnet trova un bastone di legno e fortunatamente viene salvato da un pescatore di passaggio. Oggi l’uomo rievoca la sua storia ed è pronto a partire di nuovo, convinto che quel bastone, trovato nel momento più vicino alla morte, sia un segno della presenza sul luogo del tesoro di Bonnie Prince Charlie, perso dal 1746.

Garnet’s gold, presentato nel concorso internazionale al Biografilm festival, racconta l’avventura di un pirata moderno, la storia di un uomo che si rimette sulle tracce di un passato indelebile che lo ossessiona ed insegue, alla ricerca di un oro misterioso e perduto. Garnet si rivela lentamente attraverso il film e con i suoi monologhi, le sue frasi a metà e le sue riflessioni sul passato, sugli errori e sul futuro, ci trascina a spezzoni nella sua esistenza: un uomo buffo e simpatico, che canta le canzoni al bar e si prende amorevolmente cura della madre oramai novantenne.

Il film divaga, si perde, gira e rigira, lasciando la sensazione di incompiutezza che è forse propria del suo stesso protagonista. La superficie è esplorata, ma le altre ragioni che spingono Garnet a partire sono spesso coperte da una coltre di nebbia. Un corsaro contemporaneo di cui, però, il film di Ed Perkins ci restituisce solo un’immagine sfuocata ed incompleta, parzialmente comprensibile, mai totalmente sviscerata ed indagata.

Forse la straordinarietà di Garnet sta proprio nell’ “aver tentato” per tutta la vita, nell’aver osato e rischiato spesso trovandosi con un pugno di mosche tra le dita, nell’essere, come recita in una poesia da lui composta nel finale, “quasi riuscito a” e questo viaggio di ritorno alla ricerca di un tesoro metaforico ne è la prova.

Caterina Sokota