Tra i film in concorso presentati al Biografilm Festival è stato proiettato Man on the River, film documentario che segue l’eroica impresa di Giacomo De Stefano di percorrere 5200km lungo i fiumi d’Europa a bordo di una semplice barca a remi e a vela. Da Londra attraverso il canale della Manica si arriva in Francia, poi attraversando il Reno e percorrendo il Danubio si giunge nel Mar Nero, punto in cui il fiume si spegne e dà vita al mare, luogo in cui il viaggio termina la sua corsa lungo le coste della Turchia.L’idea del viaggio e la sua documentazione tramite il film nascono dall’incontro di Giacomo, architetto nativo del Monte Bianco “naturalizzato” veneziano appassionato di barche, con il regista Paolo Muran il quale, grazie alla collaborazione con un team di abili film maker, ha voluto raccontare e documentare il progetto di De Stefano, dimostrando come sia ancora possibile viaggiare nel rispetto dell’ambiente.

Il film, partendo dalla volontà di sensibilizzare sul tema del turismo sostenibile, si trasforma e si rigenera, come l’acqua dei fiumi attraversati, in qualche cosa d’altro; diventa momento di riflessione riguardo al tema del viaggio, della scoperta dell’altro da sé e metafora di vita.

Quello di De Stefano è un viaggio che ha come presupposto la necessità di prendersi il suo tempo, si parte e non si sa quando si fa ritorno, è un viaggio libero senza vincoli in cui ogni sosta diventa occasione di incontro con le persone che vivono lungo il fiume. Tante vite e storie diverse passano sotto l’occhio della macchina da presa, si raccontano e ci mostrano il loro particolare legame con l’acqua e come il vivere lungo un fiume rappresenti la libertà e la possibilità di vivere davvero la propria vita, assecondando la propria creatività perché “è solo tramite la libertà che si può creare l’arte”.

Adattandosi all’andamento e allo scorrere del fiume, il viaggio si dilata nel tempo, diventa occasione di recupero del rapporto con la natura e obbliga ad osservare ciò che si ha intorno, caratteristica che si è andata perdendo, in quanto il turismo di massa parte dal presupposto che si debba sempre più diminuire il tempo di percorrenza, da una tappa all’altra, per raggiungere il prima possibile la meta dimenticando così la bellezza del viaggio in sé, dimenticando che anche il percorso fa parte del gioco ed è fondamentale per completare davvero l’esperienza del viaggio.

Come ha detto il regista in sala, il film dà il senso di un altrove provvisorio, dà forma ad una geografia più interiore che fisica in cui l’uomo, in questo caso Giacomo, è chiamato a fare i conti con se stesso cercando di spingersi oltre i propri limiti, abbandonando ogni tipo di comodità per riscoprire il contatto con la natura per perdersi in essa e ritrovarsi ad ascoltare i suoni che essa produce e che ormai non siamo più abituati ad ascoltare. È a bordo di Clodia, quindi, che si riscopre il piacere di un viaggiare lento, difficile e faticoso ma estremamente consapevole, volto all’avventura, in cui si devono fare i conti con se stessi e in cui si riscopre il piacere della socialità e della condivisione.

Valentina Ceccarani