Il Biografilm è il primo festival a dedicare una retrospettiva all’opera di Michael Madsen, autore di The Visit, un potente documentario che racconta un contatto con gli extraterrestri mai realmente avvenuto. Il film oscilla continuamente tra realtà e finzione, dichiarando esplicitamente l’artificio, ma comportandosi anche come se tutto ciò che viene narrato sia accaduto realmente, utilizzando tecniche proprie del mockumentary.
Il regista si avvale della collaborazione di scienziati, psicologi e importanti cariche tra cui l’ex direttore dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari dello spazio extra-atmosferico Mazlan Othman e il membro della Camera dei Lord inglese Michael Boyce. Questi recitano, provano a immaginarsi una situazione di contatto e tentano di gestirla nel miglior modo possibile, intervistano il visitatore, cercano di capirne le intenzioni, il livello intellettivo e quanto sia progredita l’ipotetica società extraterrestre da cui proviene.
L’argomento è stato trattato innumerevoli volte e in svariati modi dalle arti in generale e dal cinema nello specifico. The Visit ricalca lo schema classico proprio delle storie che raccontano di invasioni aliene, ma questo è solo un punto di partenza: Madsen sfrutta la fidelizzazione del pubblico verso la struttura dei film di genere e costruisce la sua storia in una maniera tanto inusuale quanto efficace. Non gli interessa costruire la figura dell’extraterrestre (elemento visivamente mancante), fa coincidere l’occhio dello spettatore con quello del visitatore, mostra le reazioni delle istituzioni e della gente, le domande poste e le precauzioni prese nei confronti di una creatura che rappresenta un mondo lontano e sconosciuto. La reale forza dell’opera è proprio l’intenzione di spostare il punto di vista in controcampo rispetto alle storie di genere precedenti. Inizialmente chi guarda è destabilizzato a causa dell’alternanza tra inquadrature impersonali e soggettive, ma ci si abitua in fretta e si rimane ammaliati dalla bellezza delle immagini e dall’efficace uso simbolico dello slow motion.
Notevole è la colonna sonora. La musica omaggia Kubrick: il Danubio Blu di Strauss, cinematograficamente parlando, è un opera inscindibile da 2001: Odissea nello spazio e in una pellicola come The Visit un elemento tanto riconoscibile non può lasciar dubbi sull’intenzionalità della citazione. Ma sono i suoni il vero valore aggiunto del film, lo rendono forte, conturbante, permettono l’immersione totale e sanno valorizzare appieno la potenza visiva delle immagini che da sole non avrebbero avuto lo stesso impatto. Il regista sceglie di chiudere sulle note di Space Oddity di David Bowie, metafora dell’alienazione del Maggiore Tom, uomo solo, perso nell’infinità dell’universo, sensazione che potrebbe provare un ipotetico visitatore che osserva il nostro modo di essere umani.
È un’opera non comune che con il suo gioco di alternanze tra realtà e finzione cerca di riflettere sull’incontro tra essere umano e alieno. Le domande rivolte al visitatore non ricevono risposta e la ripresa in soggettiva dà la sensazione che l’obiettivo ultimo sia quello di porre i quesiti direttamente allo spettatore, quindi all’essere umano, rendendo necessaria una profonda riflessione interiore. L’alieno dunque sembra divenire un pretesto per portare la storia anche su una dimensione strettamente umana, in un momento storico nel quale l’accettazione dell’altro e la paura per il diverso sono problemi reali e molto attuali.
Madsen si conferma autore di tutto rispetto, confeziona un film interessante sia dal punto di vista estetico che da quello tematico grazie un ottima padronanza di linguaggio del mezzo espressivo che utilizza.
Stefano Careddu