Il film Enrico Rava – Note necessarie (Monica Affatato, 2016) è strutturato come una jam session: il montaggio alternato degli inserti documentaristici che riguardano la vita pubblica e privata del jazzista torinese, ha la coralità degli strumenti musicali di una big band nell’insieme, e l’autonomia espressiva dell’assolo improvvisato nella singolarità delle parti che lo compone.

La ricchezza delle esperienze e dei racconti di un uomo che è diventato musicista di mestiere per sfuggire ad un lavoro che detestava nell’azienda di famiglia, attraversa i luoghi di numerose città (dalla piazza del Torino Jazz Festival, gremita come per un concerto dei Rolling Stones; ai locali di jazz di Roma e New York in cui suona con Gato Barbieri e Miles Davis), come anche le modalità comunicative di numerosi media (in alcuni filmati televisivi della Rai, Enza Sampò lo presenta al pubblico come un jazzista italiano emergente; in un filmato recuperato dalla Cineteca di Bologna, Pier Paolo Pasolini racconta di Rava al lavoro con Michel Petrucciani; nelle foto d’archivio, Rava si mostra vicino a musicisti di levatura internazionale come Chet Baker).

La jam session si ricostruisce cinematograficamente attraverso i contributi sia degli amici più vicini che hanno suonato con Rava fin dagli esordi (Michelangelo Pistoletto racconta della partenza a Roma, fortemente osteggiata dalle famiglie, per vivere di sola musica), che delle persone in collaborazione ai suoi numerosissimi progetti, pur non appartenendo al mondo musicale in senso stretto (ad esempio Altan, che aveva realizzato nel 2010 il motion comic Rava Noir). Enrico Rava ama definirsi un autodidatta della tromba. Eppure il documentario affronta il tema dell’insegnamento della musica jazz, un genere che per sua stessa definizione è libero sia dalle regole compositive della tradizione colta, sia dalla scrittura (e lettura) dei suoi segni di decodifica.

Così, se nelle immagini di un’aula del conservatorio di Bologna, Stefano Zenni insegna ai suoi studenti che la musica jazz ha nel suono il suo stesso principio di esistenza, Rava, durante le sue lezioni alla scuola di musica di Siena, sostiene che il jazz non si può insegnare, ma si può solo imparare suonandolo: secondo i principi di una sua personale didattica musicale, il Rava talent scout organizza le sue formazioni con la collaborazione dei migliori giovani musicisti jazz italiani. Oggi, grazie a lui, molti di essi hanno la possibilità di ottenere una visibilità internazionale. Insomma, è ancora un Rava che fa “il giro del giorno in ottanta mondi”, come suona il titolo di uno dei suoi pezzi di gioventù.

Marianna Curia –Associazione Leit Movie