Delusi dalla società americana, alla ricerca di qualcosa in cui credere, un gruppo di giovani si raduna intorno a Michel, figura carismatica dal passato misterioso, e comincia a vivere un’intensa vita di comunità incentrata su un percorso di crescita spirituale. Così si apre Holy Hell, documentario prodotto da Jared Leto che porta sullo schermo i vent’anni di vita del Buddhafield, culto cresciuto intorno ad un moderno messia in RayBan e speedo.

La dicotomia del titolo è la chiave con cui William Francesco Allen, regista ed ex membro della setta, riorganizza una cospicua mole di materiale eterogeneo: filmati vintage, hidden cam, commercials e interviste vengono pazientemente intrecciati per raccontare come l’idillio di inizio pellicola si sia trsformato in un incubo. Il leader, che negli anni Ottanta guidava i suoi fedeli in corse nei boschi, ritiri spirituali e comunioni col divino, si rivela una figura tirannica, abile manipolatore capace di mantenere i suoi discepoli in uno stato di schiavitù psicologica . Attore fallito, ballerino, porno-attore e ipnotista, Michel nasconde sotto la facciata messianica una personalità narcisista e dispotica, sfruttando il suo carisma per ottenere dai discepoli sesso, denaro e manodopera gratuita. Gli abusi procedono sinché una mail non svela la vera faccia dell’uomo al resto del gruppo, che si scioglie nel dolore generale.

Il girato fluisce naturalmente tra due poli della pellicola, con i fotogrammi sfocati di una super 8 che lasciano via via spazio a riprese sempre più nitide, sino alla camera nascosta che ci restituisce il volto di Michel invecchiato, in mezzo ad una nuova comunità fondata alle Hawaii, quasi ad accompagnare presa di coscienza del protagonista circa le dinamiche che muovevano il culto. Il corpo del leader, intorno a cui gravita l’intera vicenda, è invece protagonista di un movimento opposto e complementare: più le riprese si fanno accurate più l’uomo scivola nel grottesco, rovinato da una serie di interventi di chirurgia estetica che lo trasformano in una caricatura di sé stesso.

La principale forza di Holy Hell risiede nell’esperienza personale di Allen, grazie alla quale il racconto viene arricchito da una serie di testimonianze video e audio inattingibili a chiunque non facesse parte del Buddhafield. Particolarmente efficaci sono le interviste ai suoi vecchi compagni, capaci  di restituire, con sincerità quasi toccante, le emozioni di chi in Michel aveva creduto davvero, e ha visto crollare il proprio messia davanti agli occhi.  Molti dei fuoriusciti dal culto levano la loro voce contro l’uomo che avevano venerato e servito per vent’anni, in un misto di risentimento e amore che lascia attoniti.

Gregorio Zanacchi Nuti