I radar scrutano le montagne, e le telecamere di servizio scandagliano incessantemente le tre barriere di filo spinato che separano il Marocco da Melilla, enclave spagnola in territorio africano.
Nelle alture nei pressi della frontiera, nascosta dalla boscaglia, risiede infatti una folta comunità di migranti che, nonostante i pericoli e la vita di stenti, conservano la speranza di oltrepassare la frontiera e arrivare in Europa. Comincia così Les Sauteurs, proiettato ieri in anteprima italiana alla XII edizione del Biografilm Festival.
Prodotto dalla casa danese Final Cut For Real, il film è interamente girato con una piccola videocamera a mano, che i documentaristi Moritz Siebert e Estephan Wagner – collaboratori di Oppenheimer nell’acclamato The Act of Killing – hanno regalato ad Abou insieme ad una piccola somma di denaro, affinché non vendesse l’attrezzatura per comprare viveri e altri beni primari.
Abou Sibibé, accreditato come co-regista, vive accampato su queste montagne da più di un anno. Cucina, si lava, chiacchiera con i suoi compagni, e periodicamente sfida le guardie spagnole cercando di attraversare il confine. Ma soprattutto segue alla lettera le richieste di Siebert e Wagner, e riprende con partecipazione e minuzia di particolari la vita sulle montagne, cadenzata dalle retate della polizia marocchina.
La vita nell’accampamento sembra un infinito purgatorio: con un po’ di fortuna si può riuscire a entrare in Spagna, come il fratello di Abou, ma si può anche aspettare per anni senza valicare il confine, o ancora peggio morire nel tentativo. Eppure si riescono a trovare anche dei momenti di svago, come la spassosissima partita di calcio Mali-Costa d’Avorio, giocata su un campo di fortuna ma con una tifoseria degna del derby più agguerrito.

Mentre lo spettatore scopre la realtà dei migranti nell’accampamento, Abou prende lentamente confidenza con la macchina da presa: scopre il piacere di costruire un’inquadratura, di registrare un rumore, e comincia a raccontare la sua storia attraverso le immagini. “Je sent que j’existe quand je filme”: così dice Abou ad un compagno, e immortalare la propria esperienza con la macchina da presa diventa un atto di forza, una presa di posizione con cui affermare la propria individualità.

Se i clandestini sono oggi gli individui invisibili per eccellenza, Les Sauteurs non si limita a denunciarne la condizione, ma ridà loro una soggettività rendendoli padroni di filmare la propria storia. Scansando abilmente la trappola del paternalismo e della condiscendenza, il film rende giustizia ai suoi protagonisti rendendoli soggetti attivi, portatori di uno sguardo sul mondo.  Portando alle estreme conseguenze i dettami del miglior documentario osservativo, Les Sauteurs è un home movie autentico e radicale, un piccolo saggio etnografico e, soprattutto, una storia commovente e piena di umanità.

Maria Sole Colombo