È un documentario ricco di speranza Raving Iran di Susanne Regina Meures. È però un racconto carico anche di tensione, che sembra svilupparsi direttamente davanti alla macchina da presa, anzi alle piccole videocamere e all’iPhone che la regista è riuscita a portare con sé in Iran per filmare da vicino Anoosh e Arash, due DJ famosi nel paese per le loro feste clandestine nel deserto a base di musica techno e house.

La clandestinità è il tema centrale del film: dall’inizio clandestina è la musica occidentale, vietata in Iran, che per i due protagonisti diventa mezzo di espressione della propria libertà e della propria identità; nel corso del film clandestini sono i tentativi di stampare i CD senza regolare autorizzazione; alla fine saranno Anoosh e Arash a scegliere se diventare clandestini essi stessi per poter realizzare non soltanto il proprio sogno ma un desiderio più intimo di affermazione personale. Vi è dunque una circolarità tematica che si ripercuote sulla struttura del film, sia a livello visivo (la prima e l’ultima sequenza sono girate in un’automobile, a simboleggiare il continuo avanzare di Anoosh e Arash), sia a livello musicale, dove la ripetitività della musica house suonata e composta dai protagonisti è però trattata quasi con poesia dalla Meures, con bellissime inquadrature dei corpi che ballano, dei dettagli delle mani e delle braccia che seguono il ritmo ostinato dei brani.

Essere musicisti è assai complicato in Iran: ogni aspetto della professione – dalla copertina del CD all’abbigliamento delle cantanti alla semplice presenza delle donne sul palco – è sottoposto a vincoli perché lo Stato e l’Islam controllano tutto attraverso la polizia morale e religiosa. Tramite la storia di Anoosh e Arash, Susanne Meures realizza un film di denuncia delle condizioni di vita nel regime, stando sempre accanto ai protagonisti per seguirne ogni dubbio, ogni scelta, ogni sfida: è chiara la consapevole partecipazione dei due DJ, che hanno accettato di nascondere sotto le loro magliette i cellulari necessari a registrare le conversazioni all’interno dell’ambasciata, dell’ufficio postale e di altri uffici in cui sarebbe stato altrimenti impossibile riprendere.

Regista e protagonisti hanno dunque corso grandi rischi per poter ultimare questo documentario perché tutti e tre credono nel potere della musica di cambiare le cose. Per loro la musica è davvero vettore di speranza. E si vede.

Alessandro Guatti – Associazione Culturale Leitmovie