Shoah è stata sicuramente l’opera più ampia e importante mai realizzata sull’Olocausto: con le sue nove ore e mezza di interviste a prigionieri sopravvissuti al massacro, Sonderkommando, ma anche ex SS, è un documento, non solo cinematografico, ma anche storiografico, imprescindibile per la conoscenza e il mantenimento della memoria di quello che è stato il più grande crimine contro l’umanità di sempre.

Spectres of the Shoah, distribuito dalla HBO e candidato agli Oscars 2016 nella sezione “Miglior cortometraggio documentario”, è un dialogo tra il regista Adam Benzine e Claude Lanzmann, atto a svelare i retroscena della realizzazione di un film che ha avuto ben undici anni di gestazione (di cui ben cinque di montaggio) e non pochi rischi.

Essendo un film su commissione che avrebbe dovuto stare in tempi di produzione non superiori ai due anni e in una durata che non andasse oltre le due ore, Lanzmann dovette spesso mentire alla produzione, in quanto perfettamente consapevole che per mettere in piedi una testimonianza di tale portata, i tempi imposti erano a dir poco utopici. Le ripetute menzogne lo fecero soffrire parecchio, al punto da indurlo in un tentativo di suicidio non completamente conscio.

Questa intervista delinea una personalità decisa, arrogante, presuntuosa e autoritaria, caratteristiche spesso interpretate in accezione negativa, ma, in questo caso, sembrano essere le sole prerogative per avere la forza di pensare e portare a termine un’opera di simili dimensioni. La sua voce racconta le fasi salienti della lavorazione di Shoah, da quando gli fu commissionato un lavoro che “non parlasse della Shoah, ma che fosse la Shoah stessa”, alle prime difficoltà con i sopravvissuti, che provano un rifiuto inconscio nel ricordare quei terribili momenti, ma razionalmente si rendono conto dell’importanza che potranno avere le loro testimonianze per la solidità di una memoria futura, fino ai lunghi anni del montaggio.

Lanzmann volle inserire anche le testimonianze degli aguzzini tedeschi, ma le ex-SS non avevano nessuna intenzione di parlare di fronte a un obiettivo, per ovvi motivi. Pensò di usare telecamere e microfoni nascosti per riprendere questi preziosissimi incontri. Durante uno di questi colloqui, furono scoperti e picchiati, riuscirono a fuggire, ma la successiva degenza ospedaliera durò più di un mese. In aggiunta, ebbero guai giudiziari per utilizzo illecito di frequenze radio tedesche. Il racconto di questa brutta esperienza è uno dei passaggi più interessanti del breve film: il regista francese è restìo a ricordare il racconto, proprio come i prigionieri nel suo Shoah, ma viene convinto da Benzine ad uno sforzo per dovere e importanza di cronaca.

Questi quaranta minuti di conversazione con Claude Lanzmann hanno il merito di svelare alcuni retroscena di una delle opere più importanti degli ultimi trent’anni e la personalità controversa di un regista che ha messo il progetto davanti a tutto, riuscendo a ottenere fiducia e intimità con i testimoni, andando oltre il “mero” lavoro del cineasta, creando una rete di rapporti personali senza i quali non sarebbe mai giunto a tali risultati.

Un film adatto al pubblico che conosce Shoah, in quanto va ad aggiungere informazioni e curiosità sull’uomo Lanzmann e sulle sue modalità di lavorazione, ma anche per chi non conosce l’opera e, dopo la visione di Spectres of the Shoah, si sente  in dovere di colmare questa lacuna.

Stefano Careddu