Può la fede di uno tenere in scacco molti? Secondo Kirill Sebrenikov sì. Direttamente dall’Un Certain Regard di Cannes, dove ha diviso le opinioni di pubblico e critica, arriva in Italia The Student, adattamento di una pièce teatrale di Marius Von Mayenburg capace di evocare con efficacia i pericoli del fondamentalismo. Veniamin non vuole più partecipare alle lezioni di nuoto, ma non si tratta di capricci adolescenziali: i bikini delle ragazze sono indecenti, parola del Signore. Armato di una Bibbia sgualcita e una determinazione incrollabile, Venya comincia a predicare un cristianesimo violento, fatto di versetti citati a memoria e sguardi allucinati. Unica ad opporsi al suo fanatismo è Elena, giovane professoressa di biologia che legge nei suoi comportamenti un silenzioso grido d’aiuto, e cerca di far breccia nei suoi dogmi con la ragione.
Fulcro ed apice dell’opera è il protagonista, interpretato da un efficacissimo Petr Skvortsov. Personaggio tragico nella sua solitudine assoluta, Veniamin vive una fede del tutto incomprensibile per chi lo circonda. Che si tratti dei compagni di classe, divertiti dai suoi comportamenti eccessivi, o del suo unico discepolo, segretamente innamorato di lui, nessuno lo ascolta realmente. L’unica disposta a prenderlo sul serio è proprio Elena, che tenta in ogni modo di salvarlo dal suo radicalismo e si guadagna così il suo disprezzo. Assurdo per i personaggi della vicenda, il credo di Venya irrompe nella narrazione all’improvviso, disorientando anche la platea. Che si tratti di un gioco diventato tragedia, come la madre suggerisce all’inizio, un crisi adolescenziale o una fede sincera, il protagonista resta un geroglifico indecifrabile, impermeabile ad ogni tentativo di chiarificazione.
Con The Student Sebrenikov consegna allo spettatore una miniatura della sua Russia, ostaggio di autorità reazionarie e ottuse. La scuola di Venya diventa il laboratorio in cui studiare la microfisica del fanatismo, capace di crescere ed imporsi indisturbato con la complicità del potere costutuito. Il protagonista è ridotto a pedina negli equilibri del corpo insegnanti, e i suoi sermoni sono il pretesto sfruttato dalla preside reazionaria per licenziare Elena, colpevole di insegnare ai ragazzi la prevenzione e l’evoluzionismo. Il rigore del soggetto, spietato nella sua critica agli stereotipi della società sovietica, viene mitigato dalla vena comica che fa capolino qua e là nei dialoghi, allegerendo anche i momenti più pesanti.
Esempio di una regia capace di adattarsi alla narrazione senza rinunciare ad una cifra personale, The Student colpisce per la capacità di raccontare la fede nella sua declinazione più estrema, dramma terrribile che strappa il singolo alla moltitudine e lo rende solo davanti agli altri e al suo dio. Poco importa se la sceneggiatura sembra talvolta vivere di piccoli singhiozzi e refusi innecessari: dalle prime scene a quando God ist God dei Laibach esplode insieme ai titoli di coda, la storia di Veniamin ci ha conquistato.
Gregorio Zanacchi Nuti