Presentato ieri al Biografilm e già acclamato al Trieste Film Festival, dove ha ottenuto il premio come miglior documentario, Under the Sun nasce dall’ambizioso progetto di seguire da vicino la vita quotidiana di una famiglia di Pyongyang. Per realizzare il documentario, il cineasta russo Vitaly Mansky ha trascorso un anno nella capitale della blindatissima Corea del Nord, ma ha ottenuto i permessi necessari per poter girare il film solo a condizione di accettare la consulenza di alcuni funzionari governativi, incaricati di consigliare Mansky “affinché il documentario rappresentasse fedelmente la vita media di una famiglia nordcoreana”.
Mentre la Korean Film Import and Export Corporation figura tra i produttori del film, i consulenti locali si sono offerti di scrivere il soggetto e la sceneggiatura di Under the Sun, la cui storia si snoda lentamente in un susseguirsi di parate, cerimonie commemorative e spettacoli in onore del caro leader Kim Jong-un. Se le poche immagini che ci arrivano da questo paese sono di solito riprese rubate, Mansky ha avuto la possibilità di costruire le sue inquadrature con cura e rigore figurativo, e le complesse coreografie umane delle manifestazioni di partito sono tanto surreali quando affascinanti.
Tranne pochissime eccezioni, il documentarista russo si limita a riprendere ciò che è autorizzato a mostrare, salvo poi lasciare accesa la macchina da presa tra un take e l’altro: una tranquilla cena di famiglia, provata e riprovata sotto il vigile controllo degli sceneggiatori, si trasforma così in un improbabile réclame patriottico sulla bontà del latte di soia nord-coreano. L’effetto è ancora più straniante quando, durante una scena girata in una fabbrica modello del regime, la produttività dell’azienda cresce miracolosamente del 50% da un take all’altro.
Durante le infinite manifestazioni pubbliche, la macchina da presa si sofferma sui gesti innaturali e sui sorrisi forzati, e riesce forse a scalfire l’impenetrabile realtà dei cittadini di Pyongyang. Attraverso la reiterazione delle formule celebrative e dei discorsi di propaganda, Mansky riesce persino a raccontare il lento ma martellante processo di indottrinamento, di cui lo spettatore riesce a percepire la presenza assillante. Sospeso in un’atmosfera rarefatta e surreale, Under the Sun è un film più unico che raro a partire dalle travagliate vicende produttive, e nelle mani esperte di Mansky la macchina da presa diventa un potente microscopio in grado di rivelare dai particolari più minuti – un gesto delle mani, uno sguardo in camera – una realtà ben diversa da quella ufficiale.
Under the Sun ricorda certamente molto del cinema di Oppenheimer, e con un linguaggio ricercato ma asciutto riesce nell’arduo compito di filmare senza filtri l’oppressione e la sofferenza.
Maria Sole Colombo